La (grande) Fotografia. Per Bene – Incontro con Italo ZANNIER

La (grande) Fotografia. Per Bene

Incontro con Italo ZANNIER

 

È il “novantenne indomabile” Italo ZANNIER, classe 1932, friuliano doc, nato a Spilimbergo, ma ora stabilmente a Venezia, a firmare quest’anno le fotografie del Calendario Tricostrarc ETS 2025 – “DIAKRONICA – Bellezza nel tempo”, giunto alla sua ottava edizione e caratterizzato da ritratti di modelle d’eccezione: pazienti oncologiche in cura. 

È uno dei tanti progetti di Tricologia Solidale, il Calendario fotografico – in questo caso di sensibilizzazione – portati avanti da oltre 14 anni da Giusy Giambertone attraverso la Tricostarc ETS e in collaborazione con la Fondazione Prometeus, volti a ri-portare il diritto-dovere alla Bellezza al centro della vita di donne (soprattutto, ma non solo) segnate da malattie e cure invasive che comportino la perdita dei capelli. Come volano di recuperata autostima e socialità, fiducia nel tempo e nel futuro e conseguentemente riconosciuto anche dalla medicina come supporto non secondario alle cure.

Modelle per un giorno, “dive”, perché fotografate nel tempo da fotografi di fama come da ultimo Rino Barillari e Letizia Battaglia, in questa edizione quattro di loro – Angela, Annalisa, Monica e Simona – si sono offerte allo sguardo di Italo ZANNIER, in quel set a cielo aperto che è la Giudecca e in uno dei suoi tanti luoghi nascosti e straordinari (tra le spettacolari sculture di maglia del laboratorio di knitwear design di Laura Mirè “per dare nel calendario il senso del paesaggio, della vita di un luogo, di cosa c’è dentro”…un dentro nel quale “le modelle si muovono, dialogano, interagiscono con l’ambiente”). “La scelta di scattare alla Giudecca e non nei luoghi iconici di Venezia – ha spiegato ancora  il Maestro – è dovuta al fatto che è un’isola, un borgo, nel quale la gente si conosce, ed è più facile trovare l’interazione autentica”.

A Roma per la presentazione del Calendario, la fortuna di aver visto dal vivo le sue immagini, esposte per l’occasione nella Biblioteca dell’Università degli studi LINK (Via del Casale di San Pio V, 44) – ventidue gli scatti scelti, nelle stampe originali firmate ed autenticate –, ma soprattutto di averlo ascoltato.

Una vita intera, a suo modo, dedicata alla Fotografia: docente universitario, ideatore e curatore di mostre e rassegne internazionali, da Venezia ’79 la Fotografia a Italia Arte al Guggenheim di New York e poi alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Milano. Oltre seicento le sue pubblicazioni, tra saggi, libri e fotolibri, almeno due libri pubblicati all’anno e da tutto questo un’idea e una sola di progetto fotografico: il ritorno all’immagine figlia di scelte personali e non di impostazioni tecnologiche che la riproducono all’infinito. Una “fotofania” quella della sua fotografia, perché stampata su supporto cartaceo, non un file digitale, e che quindi riflette il momento da lui scelto di luce e fuoco e tutti gli altri elementi che una foto scattata in quel preciso istante e non altro restituiscono, mai uguali, rivelando così ciò che non è immediatamente visibile all’occhio umano. Ma c’è. 

Ma non solo. Ci tiene Zannier, ancora oggi ad oltre novanta anni, del resto portati benissimo con la sua splendida ed elegante figura, a parlare di passione. Il suo amore per la fotografia, da cui è stato conquistato, destinato a dominare ogni aspetto della sua esistenza, ma anche la passione quale che sia come motore della realizzazione personale di ognuno, la passione come “fare”, operare, costruire, e fare al meglio, il valore della manualità da preservare anche oggi per garantire che la tecnologia resti al servizio della creatività. E il “credere” nel fare. Rinunciare è sempre sbagliato è la lezione che in qualche modo ha voluto testimoniare. Lui non ha mai rinunciato. Dimostrano di non rinunciare anche le modelle-pazienti quando si prestano ad un gioco (serio) come questo del Calendario. 

Dell’esperienza con Diakronica, e dell’evento romano, ad averlo commosso, a parte le sue ovvie implicazioni, come pioniere e storico da sempre impegnato nella valorizzazione della fotografia italiana come forma d’arte e patrimonio culturale, è il fatto che si siano rivelati alla fine come una vera e propria Festa della Fotografia. Un elogio (non scontato) della Fotografia che invece in Italia non ha mai avuto e non ha tuttora, ci ha tenuto a sottolinearlo, lo stesso status riconosciuto all’arte cosiddetta, rispetto alla quale è sempre stata secondaria. Gli storici dell’arte – ha detto – non l’hanno mai voluta assumere come fondamentale nella storia dell’arte, non solo di quella contemporanea, ma anche andando molto indietro nel tempo. 

E Zannier ci è andato, da storico che ha sempre saputo e voluto coniugare la pratica con la teoria e la divulgazione, indietro nel tempo, scomodando le fantasmagorie di Epicuro, immagini mentali derivate da sottili pellicole di atomi che si staccano dagli oggetti e colpiscono i sensi, permettendo la percezione e l’immaginazione, passando per Giovanbattista della Porta che in una sua opera del 1568, Pratica della prospettiva, descriveva la “camera obscura con lente” che permetteva lo studio della prospettiva, e poi per il 1826 (anno che documenta la fotografia più antica del mondo realizzata da Joseph Nicéphore Niéce, nota come “Vista dalla finestra a Le Gras”, ottenuta con la tecnica della eliografia, utilizzando una lastra di stagna rivestita di bitume di Giudea),  e via via fino alle ipotesi a loro modo sublimi della tecnologia attraverso la quale tutto si può costruire, il mondo intero, all’infinito. Verso la fotografia digitale e l’uso della tecnologia nella fotografia nel tempo Zannier ha mostrato un atteggiamento sì critico, ma anche aperto verso la democratizzazione del linguaggio fotografico e l’ampliamento delle sue possibilità che essa consente. Ma sempre avvertendo del rischio di una perdita di consapevolezza culturale e storica, di quella capacità della fotografia di cogliere il qui e ora. E per Zannier conta il presente, il qui e ora, il momento attuale. Come quello, un po’ magico, che si è realizzato in una serata come quella di Diakronica.