Volti Rivolti – Melograno Art Gallery – Livorno

Volti Rivolti

group show alla Melograno Art Gallery

Livorno, 3 – 9 ottobre 2024

Vernissage sabato 5 ottobre ore 18

 A cura di Maria Teresa Majoli

Gli artisti:

Maurizio Barraco, Jean Francois Bouron, Davide Chelli, Mario Gavazzi, Aurore Lephilipponnat, Magno, Rosy Mantovani, Luigi Piscopo, Davide Robert Ross

 

La mostra “Volti Rivolti” è un’esplorazione profonda e sfaccettata dell’animo umano, attraverso gli occhi di nove artisti che, con stili differenti, offrono la loro visione unica della complessità emotiva. Le opere esposte mostrano volti intensi e drammatici, attraversando temi che vanno dal nudo al macabro, dal problematico al pianto.

Gli artisti mettono a nudo la vulnerabilità umana, svelando ciò che spesso rimane nascosto dietro le espressioni quotidiane. La varietà di stili, dal pop più audace alla pittura tradizionale, crea un affascinante contrasto tra leggerezza e introspezione. Ogni volto rappresentato è rivolto verso lo spettatore, ma, allo stesso tempo, verso l’interno di sé, invitando a riflettere sulle diverse personalità e storie che ogni tratto e pennellata esprimono.

“Volti Rivolti” è una mostra che gioca con i paradossi dell’animo umano, invitando lo spettatore a girarsi, letteralmente e metaforicamente, verso il proprio riflesso, verso le emozioni altrui, creando un dialogo tra l’intimo e il pubblico.

Le opere sono disponibili in galleria e sull’e-commerce

Melograno Art Gallery

Livorno, via Marradi 62/68

Orario:
10/12.30 e 16/20. Domenica e festivi 10/12.30 e 17/20.
Chiusi la mattina del lunedì.

IL CATALOGO

 

MAURIZIO BARRACO

In questo drammatico nudo di Maurizio Barraco si percepisce una tensione emotiva palpabile. La figura femminile che si offre, più che all’amore, si prepara a qualcosa di crudo, quasi a un’inevitabile contaminazione. Il suo corpo, esposto e vulnerabile, suggerisce una sofferenza silenziosa, una ferita invisibile che sembra gravare su di lei. Tuttavia, nonostante questa consapevolezza del suo destino, la donna rimane pura, intatta nella sua essenza.

Il contrasto tra la sua fisicità, che sembra sul punto di essere macchiata, e lo spirito che rimane elevato e intangibile, crea una connessione empatica con lo spettatore. L’opera riesce a trasmettere la profonda dualità tra il corpo come oggetto e l’anima come entità inviolata, generando un senso di compassione e rispetto per questa figura che, seppur pronta ad affrontare la corruzione, rimane simbolo di innocenza e dignità.

Maurizio Barraco, nato a Palermo, ha saputo cogliere questa sottile linea tra vulnerabilità e forza interiore, donandoci un ritratto che parla di donne, di corpi e di anime, esposti e al contempo inviolabili.

JEAN FRANCOIS BOURON

Originario della Corea e attualmente residente a Parigi, l’artista si distingue per la sua ricerca incessante dell’identità attraverso la pittura, considerata un bisogno primario e un mezzo di fuga dalla realtà. Negli ultimi anni, ha esposto in importanti città come Berlino, Londra e Abu Dhabi, portando con sé un linguaggio artistico autodidatta, ricco di emozioni e introspezione.

“Gaia” è un’opera avvolta in un turbinare di bianchi e neri, in cui un cielo grigio è solcato da un nastro rosso che danza tra pipistrelli neri. Al centro dell’attenzione è la figura di una donna con occhi stralunati, quasi robotici, che sembra riflettere una condizione di alienazione e ricerca. Nella sua mano, come fosse un neonato, la donna culla un groviglio di vortici e triangoli, ornati da cerchi all’interno, nei quali la complessità del mondo si manifesta in una danza di forme e linee. Gli occhi che emergono dai vortici, ricordano creature fantastiche come scimmie o chimere, e aggiungono un ulteriore strato di inquietudine e tensione all’opera. Ci immergiamo in un universo visivo dove le passioni e i sentimenti più nascosti vengono esplorati attraverso la figura femminile, quasi una inquietante madre con bambino, che evoca una riflessione profonda sul futuro della nostra esistenza.

 

DAVIDE CHELLI

Nella sua opera “Il pianto di sangue” Davide Chelli, artista livornese, ci offre un’immagine che colpisce per la sua intensità drammatica. Un volto maschile emerge dalla tela, scolpito da forti contrasti tra i capelli ricci e bianchi e la barba nera, mentre dagli occhi sgorgano due simmetrici rivoli di sangue rosso, che spiccano come ferite emotive su un quadro altrimenti dominato dal bianco e nero.

L’impostazione ricorda il volto iconico di Cristo, ma Chelli ci presenta un Cristo attualizzato, privo di un’identità definita, quasi a volerci trasmettere un senso di universalità nella sofferenza. Questo volto non appartiene a una figura divina, ma a un uomo contemporaneo, un simbolo di un dolore collettivo che si riflette nell’animo umano.

Attraverso quest’opera, Chelli esplora il tema del sacrificio e del tormento interiore, mescolando elementi religiosi e moderni in una rappresentazione che tocca corde profonde, sia spirituali che emotive. 

MARIO GAVAZZI

L’opera intitolata “Pensieri”, pubblicata nel libro “Poesia e Pittura – linguaggi d’arte in sintonia” di Mario Gavazzi, pittore, e Dario Menicucci, poeta, esplora temi profondamente umani legati alla tensione emotiva, alla violenza e alla depressione. La composizione suggerisce un’attesa andata a vuoto, o forse un rapporto travagliato in cui le forze in gioco si scontrano, lasciando uno strascico di sofferenza e inquietudine.

L’artista livornese costruisce un gioco visivo attraverso l’uso di colori vivaci e forme che non si rivelano immediatamente, ma che richiedono un’interazione paziente dello spettatore per essere comprese. Linee di frattura e segni scuri attraversano la superficie pittorica, svelando frammenti di mondi immaginari, fiori indefinibili e figure seducenti. La bellezza dell’opera si scopre poco a poco, come un mosaico che si ricompone davanti agli occhi dello spettatore.

Il colore, luminoso ed energico, infonde vitalità al dolore rappresentato, creando un contrasto tra la sofferenza e la speranza che emerge attraverso le tonalità positive. “Pensieri” invita lo spettatore a esplorare il proprio universo interiore, offrendo una visione complessa e affascinante della fragilità umana e delle sue innumerevoli sfaccettature.

AURORE LEPHILIPPONNAT

In “Chimera”, l’artista francese ci trasporta in un mondo in bilico tra realtà e immaginazione, dove una figura scheletrica, con il becco d’uccello e un corpo in disfacimento, diventa simbolo di trasformazione e fragilità. Questa creatura appare quasi spogliata della sua carne, ma avvolta in un’aura di mistero e poesia. Qui, la pittura non è solo un mezzo espressivo, ma un’esperienza di introspezione, un rifugio dalla sofferenza, e una riflessione sull’impermanenza della vita. L’artista attinge anche alla danza Butoh, fonte d’ispirazione per la rappresentazione del corpo decadente e della condizione umana di fronte alla sua inevitabile caducità.

Con questa parole descrive se stessa e il proprio lavoro:

“Noi siamo il frutto dei nostri incontri, di ciò che ci interessa, ci ispira, ci spiace. Siamo la somma di tutte le cosa che si accumulano nella nostra vita. E così produciamo e riproduciamo l’insieme degli elementi di cui siamo imbevuti.

In questo lungo cammino che è l’esistenza, il pennello mi è venuto incontro come strumento di espressione, di dissezione, di contemplazione del mondo che mi circonda. Una barriera tra il reale e l’immaginario, uno scudo contro la violenza, la brutalità, e ogni sorta di colpi che si piantano come coltelli nella fragilità dell’ anima.

Ogni cosa che si apre alla vita, torna alla terra, all’humus,  e restituisce il suo mantello di piume,  adorno di ori e maschere grottesche, alla Terra fonte originale della vita stessa.  Le vene sulle mani sono reti grondanti filamenti organici e spugnosi, nelle quali l’inchiostro diviene padrone.  Lasciarsi andare, in una rapida occhiata alla natura della vita: incostante, vera, pura, incontrollabile.

Così la pittura è una via di fuga dalla sofferenza, una negazione dell’apparire, una protezione, una copertura, una alcova amniotica, una introspezione nell’intimità dell’Io, uno sguardo contemplativo dal profondo verso ciò che sta fuori.”

MARIO MADDALOSSO, in arte MAGNO

In “Sott’acqua”, Magno ci conduce in un mondo in cui il passato e il presente si fondono, dove le figure classiche, come statue greche tracciate con segni netti e neri tipici dello streetartist, appaiono come fantasmi emergenti da un substrato azzurro profondo. Queste figure, trasparenti e quasi eteree, sembrano appartenere a una dimensione lontana, ma allo stesso tempo vivono e vibrano nel nostro presente. Attorno a loro fluttuano improbabili meduse dorate, creature oniriche che richiamano un mondo un po’ magico.

Le parole sparse nella composizione, come “till this morning”, “appartengo ad un mondo un po’ magico”, e “chissà se c’è qualcun altro fatto così”, si leggono a malapena, diventando parte del mistero che Magno costruisce. Queste frasi sfuggenti, quasi criptiche, aggiungono una dimensione ulteriore all’opera, facendo vibrare il dipinto di significati nascosti, unendo la memoria della classicità alla narrazione contemporanea.

Magno è maestro nell’intrecciare immagini e parole, creando una tensione tra il visibile e l’invisibile, tra ciò che appare chiaro e ciò che rimane celato. Con “Sott’acqua”, l’artista continua la sua esplorazione del mistero della storia e del tempo, facendoci riflettere su come il passato persista nel presente, in una memoria che non smette mai di riemergere, proprio come le figure che nuotano in questo azzurro profondo.

ROSY MANTOVANI

L’opera di Rosy Mantovani, “Fiori dell’Anima”,  esplora l’infanzia all’interno di un ambiente crudo e inospitale, rappresentando una società sempre più anestetizzata ai suoi problemi e priva di futuro. Le giovani donne ritratte emergono come icone di una realtà distopica, intrappolate in periferie desolate, simbolo di una speranza fragile. Queste presenze-assenze, che abitano lo spazio pittorico, evocano la malinconia e la consistenza dei pensieri, diventando meravigliosi fiori che, pur crescendo tra le crepe dell’asfalto, sono portatori di un possibile riscatto.

Mantovani descrive una condizione umana odierna caratterizzata da solitudine e difficoltà di comunicazione, in un mondo globalizzato che ha perso l’essenza dell’umanità. Gli individui vivono circondati dal caos, rinchiusi in una gabbia di isolamento che ostacola il passaggio dal “IO” al “NOI”. Questa nuova religione del lusso e del divertimento ha lasciato spazio a un senso di malinconica solitudine, che si manifesta come un fiore del mal di vivere.

Nei suoi lavori, i protagonisti sono ritratti immersi nei propri pensieri, ignari del mondo che li circonda. Sullo sfondo, le periferie, rumorose o abbandonate, fanno risaltare la bellezza dei loro sguardi: occhi di chi non si arrende, di chi combatte e, forse, vincerà. È la forza della resilienza a emergere in questo delicato equilibrio tra dolore e speranza.

LUIGI PISCOPO

In “Cavalcando le onde”, Luigi Piscopo evoca una dolcezza intrisa di malinconia, presentando un uomo e una donna che si stagliano su un fondo blu profondo, quasi onirico. I loro volti, che richiamano le teste polinesiane, sono ornati con dettagli che rimandano a culture lontane, mentre la loro postura, simile a quella delle tombe etrusche, racconta una storia di intimità e connessione.

Questa coppia, pur affrontando le sfide simboleggiate dall’onda della vita, trasmette un senso di unità e armonia. Lui avanza con determinazione, sostenuto dalla presenza rassicurante di lei, che lo affianca in un abbraccio silenzioso. In questo gesto, Piscopo celebra la dolcezza dell’amore, il legame indissolubile che permette di affrontare insieme le avversità e le incognite del futuro.

Luigi Piscopo si muove con maestria tra ironia e profondità, trasformando la vita di coppia in un simbolo di resilienza e speranza. La sua pittura, una continua esplorazione delle sfaccettature della natura umana, offre uno spaccato della condizione umana, dove la dolcezza dell’unione si contrappone alle sfide del mondo. I personaggi che popolano le sue tele non sono solo figure, ma rappresentazioni di storie cariche di umanità e sentimenti.

Ogni opera è un viaggio emotivo, un intreccio di colori e forme che riflettono la grande tensione dell’esistenza, elevando il quotidiano a un livello universale e simbolico. L’amore è una forza capace di navigare anche le tempeste più impetuose.

DAVIDE ROBERT ROSS

In questa potente opera, Davide Robert Ross presenta un ritratto audace e contemporaneo, intitolato “Nessuno camminerà nelle mie scarpe”. I colori, un’esplosione di viola accesi e toni al di fuori della gamma classica, trasformano la figura femminile in un simbolo di sfida e libertà. La tecnica impeccabile del disegno e della pittura ricorda i grandi ritratti della tradizione, ma è l’uso di questi colori insoliti a conferire all’opera una dimensione nuova e vibrante.

La donna ritratta, sfrontata e determinata, sembra pronta ad affrontare il mondo, con uno sguardo che esprime sicurezza e indipendenza. Il titolo stesso è un’affermazione di individualità e di proprietà della propria esperienza, suggerendo che nessuno potrà comprendere o replicare il suo cammino. L’opera invita lo spettatore a riflettere sul concetto di identità, sulla forza e sulla resilienza, rendendo visibile l’intensità delle emozioni attraverso una palette audace e provocatoria.

Ross riesce a mescolare il classico con il contemporaneo, offrendo uno sguardo innovativo su una figura che, pur radicata nella tradizione, è inestricabilmente legata al presente e alle sfide che esso comporta.