Raoul Dal Molin Ferenzona: Enchiridion Notturno. – Pinacoteca Comunale Carlo Servolini – Collesalvetti
La mostra dal titolo Raoul Dal Molin Ferenzona: Enchiridion Notturno. Un sognatore decadente verso l’occultismo e la teosofia, promossa e organizzata dal Comune di Collesalvetti, ideata e curata da Emanuele Bardazzi e Francesca Cagianelli, con il contributo di Fondazione Livorno, in collaborazione con la Società Teosofica Italiana / MEDIA PARTNER, in programma alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini dal 14 novembre 2024 al 15 marzo 2025 (Villa Carmignani, Collesalvetti, via Garibaldi, 79 –
INGRESSO GRATUITO: tutti i giovedì, sabato e domenica, ore 15.30-18.30; anche su prenotazione per piccoli gruppi;
visite guidate gratuite su prenotazione: info: 0586 980118-227 e 392/6025703;
cultura@comune.collesalvetti.li.it; www.comune.collesalvetti.li.it), intende illustrare, attraverso un percorso espositivo di circa 80 opere pittoriche, grafiche e illustrative, la prestigiosa carriera di Raoul Dal Molin Ferenzona (Firenze, 24 settembre 1879 – Milano, 19 gennaio 1946), la cui estrazione fiorentina e la pluriennale militanza labronica si coniugarono con lunghe permanenze in Europa, il cui esito influì definitivamente sulla vocazione simbolista ed esoterica dell’artista.
Inaugurata dal profetico e dandystico Autoritratto dell’artista (1904-1907), seguito dal magnifico inedito di Ritratto di Domenico Baccarini (1904 ca.), eseguito a pastello nel 1906 poco prima della sua morte, la sezione si snoda sull’onda della suggestione di alcuni capisaldi della produzione purista di eco preraffaellita e khnopffiano, quali The puppets, vagamente ispirata a La femme et le pantin di Félicien Rops; Gravis dum suavis, inneggiante al motto latino usato da d’Annunzio per evocare la dolcezza esangue di Ippolita Sanzio nel romanzo Il trionfo della morte; La Madonna dei Sette Dolori, e infine lo straordinario inedito L’urna d’ebano e l’anfora d’avorio (1914), tutte icone di un languido misticismo in bilico tra seduzione e ascesi, destinato a confluire in un sensualismo religioso che riecheggia la poetica dei simbolisti belgi quella corazziniana dell’Amaro calice, non senza attinenze con la Digitale purpurea di Giovanni Pascoli e con il Poema Paradisiaco di Gabriele d’Annunzio.
Snodo centrale dell’itinerario espressivo dipanato in questa seconda sezione è la puntasecca di esclusiva estrazione malefica, Le Orvietane (1909), i cui tenebrosi mantelli, allusivi al leit motiv ferenzoniano dei pipistrelli, evocano mirabilmente l’immaginario notturno tipico della stagione orvietana, quando l’artista, in stretta contiguità con Umberto Prencipe, si impegnò nel restituire atmosfere visionarie e presentimenti lugubri, debitrici alla temperie di Bruges-la-morte di Rodenbach. La conclusione ideale del percorso espositivo è affidata a due esemplari della Cartella Via Crucis (Roma, Società Editrice Universa 1919-1921), coevi a uno dei capolavori librari dell’artista, Zodiacale, Opera religiosa. Orazioni, acqueforti, aure di Raoul Dal Molin Ferenzona (Roma, Casa Editrice Ausonia, 1919), estremo approdo del ragionamento esoterico di Ferenzona, articolatosi ulteriormente nell’ambito dei circuiti artistici e culturali della Società Teosofica di Roma.
Tra gli inediti più significativi di tale sezione, cortesemente reperiti da Emanuele Bardazzi, figurano due acqueforti presentate a “Bottega d’Arte”, ovvero Il ristorante (1910 ca.), di temperie decadente e notturna, e I ladri (1914), straordinariamente legata all’universo degli angiporti praticato all’epoca da Renato Natali e Gastone Razzaguta, di lì a poco trionfanti con soggetti analoghi all’Esposizione Pro-Soldato; e ancora I tre dei e le tre stelle (I viveurs), ascrivibile al 1920, che Ferenzona appose anche a corredo di un esemplare unico, rilegato in pergamena miniata, dell’omonimo racconto di ispirazione simbolico-astrologico, tratto da Zodiacale, ed esposto anch’esso a “Bottega d’Arte”.