Ampelio Zappalorto CreArte Studio Oderzo
Ampelio Zappalorto in esposizione da CreArte Studio, nel Palazzo Porcia di Oderzo. La mostra dal titolo Y, Berliner Werke (opere berlinesi) focalizza la sua attenzione sulle opere ideate e create durante il suo soggiorno a Berlino, nei primi anni ’90.
6 – 28 aprile 2019
Oderzo
Federico Di Porcia Brugnera
è lieto di invitarLa all’inaugurazione della mostra
Y, Berliner Werke
di Ampelio Zappalorto.
6 aprile 2019 ore 18.30
“L’era moderna potrebbe essere definita come il periodo della scoperta dell’io. L’era postmoderna nella quale viviamo può essere intesa come un periodo transitorio di disintegrazione dell’io. Forse l’era postumana che comincia a intravedersi all’orizzonte sarà caratterizzata dalla ricostituzione dell’io”.
Jeffrey Deitch, Losanna 1992
Y, Berliner Werke (opere berlinesi) dal 6 al 28 aprile in esposizione da CreArte Studio, nel Palazzo Porcia di Oderzo, focalizza la sua attenzione sulle opere di Ampelio Zappalorto ideate e create durante il suo soggiorno a Berlino, nei primi anni ’90.
Presentata dopo diversi anni dalla sua prima ideazione (catalogo Marinotti, 2002), questa raccolta di lavori non era mai stata esposta in modo organico.
Grazie alla ricerca di CreArte Studio ed alla cura dell’artista vengono alla luce opere inedite che rappresentano l’importante esperienza berlinese di Zappalorto, dove ha lavorato a stretto contatto con i maggiori artisti internazionali che animavano la scena culturale della città. Le opere di quegli anni sono incentrate sul conflitto uomo‑donna, sull’intreccio di amore e morte, alla ricerca della propria identità. Narrano il tempo della globalizzazione, delle rivendicazioni di genere e della caduta dei confini, verso la nascita di una società liquida di individui nuovi.
TESTO CRITICO
Berlino 1984-1995, Ampelio Zappalorto, dopo essersi diplomato all’accademia delle Belle Arti di Venezia decide di partire per la città divisa in due dal muro. Berlino, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 è una città che attrae giovani artisti da tutto il mondo e diviene un melting pot culturale. È la spinta identitaria dell’Europa che unita nell’alleanza atlantica si contrappone al blocco sovietico.
A Berlino gli artisti hanno un ruolo centrale nel cercare di abbattere le divisioni ed i confini. Viene riconosciuta la loro visione, l’importanza fondativa di credere nella riunificazione, di rivendicare diritti di libertà personale contro i regimi totalitari. L’arte è bandiera delle rivendicazioni di genere, delle minoranze etniche, contro le discriminazioni.
Il mondo, grazie anche alle nuove tecnologie di comunicazione, diffusesi nei primi anni ’90, sembra diventare più piccolo ed unito in un’ideale di umanità che si espande oltre le nazioni e le divisioni. È, però, soprattutto il clima culturale e la coabitazione di molti artisti che creano insieme ad ispirare Ampelio Zappalorto.
Seguendo l’ideale di Fluxus – tra gli artisti che considera come maestro vi è soprattutto Joseph Beuys – Ampelio fa della vita stessa un’opera d’arte alla ricerca del Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale. Crea, di conseguenza, con tutto. Usa la fotografia, il video, il suono, la performance, il ready‑made, la scultura e l’installazione. Slega l’opera dal vincolo dello stile e del mezzo. Perchè, nella vita moderna, tutto viene usato e gettato, tutto diventa prodotto di consumo.
Rifiutando questo modello, vano, eccessivo, vorace, imperante e conformante l’artista fugge dall’oggetto commerciale “bello e di design”. La ricerca della creatività nella vita quotidiana, il distillare l’idea nel rottame, il riuso, la fusione degli oggetti nelle installazioni, l’ibridazione di materiali e di idee, aprono la porta a nuovi processi creativi relazionali.
A Berlino, a stretto contatto ed in collaborazione con altri artisti, Ampelio Zappalorto trova un terreno fertile per un’arte che, seguendo i suoi ideali, vuole essere il più possibile condivisa. Non si tratta più dell’artista romantico, chiuso in uno studio solitario che esprime il suo genio. L’atto creativo stesso va espandendosi verso gli altri, prima ancora di darsi al pubblico.
È quindi nella relazione che Zappalorto trova la propria identità ed esprime il proprio pensiero.
“Io è un altro” – scriveva Arthur Rimbaud – nell’altro, nel conflitto uomo‑donna, nella dialettica servo‑padrone di Hegel, nel doppio, Ampelio sente emergere, spesso per contrasto, il proprio sé.
Un esempio lo troviamo nella performance Narrentanz (1995), al culmine della sua esperienza berlinese, in cui diviene regista e dirige 4 ballerini dell’Opera di Berlino, 4 attori e 4 performer. Li unisce per i piedi, a due a due, cucendo suola contro suola le scarpe delle sei coppie. I movimenti dell’uno ostacolano così quelli dell’altro. La danza diviene impossibile e nessuno è in grado di ergersi in piedi se non calpestando il proprio sventurato compagno.
Nel 1992 con Mattew Barney e Jeff Koons nasce il “Post Human“. Al fianco della diffusione di internet e del digitale l’uomo stesso si modifica, evolve, viene ibridato.
Nello stesso anno Ampelio Zappalorto inizia ad inserire il proprio corpo nelle sue opere d’arte.
Ein-Aus (1994) è tra le prime opere in cui compare: due maschere anti-gas unite per i filtri divengono una “maschera a gas” che lega il respiro dell’artista e della sua compagna. Indossando questi dispositivi, togliendosi reciprocamente il respiro, l’artista e la sua partner mimano l’antica lotta dei sessi, l’intreccio di amore e morte.
In O.T. (1994), a legare la coppia non vi è più una maschera ma un semplice filo di seta che annoda le lingue di ambedue i performer. L’immagine che ne scaturisce è ancor più intensa, sessuale, claustrofobica.
Se il rapporto con l’altro diviene un problema, una questione di lotta e di prevaricazione reciproca, un limite alle libertà ed alla determinazione personale, la soluzione che l’artista propone nell’opera O (Earth) (1996) è poetica. Ampelio mescola la propria immagine a quella della propria compagna alla ricerca dell’androgino, dell’essere alieno e perfetto, invidiato dagli dei.
Lo fa tagliando e cucendo due fotografie che ritraggono se stesso e la sua compagna, sovrapponendo pezzi del proprio volto a quello di lei. La perfetta fusione di due spiriti, ancorché affini, è sempre un’operazione dolorosa che lascia tracce indelebili. Può portare però ad un essere nuovo, speranza per l’umanità.
In tutte queste opere, che indagano la relazione e l’alienazione della propria identità nella coppia, sono vivi i richiami a Marina Abramovich ed Ulay, che con Rest Energy, Dublin (1980), Relation in time (1977) avevano affrontato la medesima tematica. Ci viene in mente ancora Joseph Beuys con l’opera Performance avec un coyote (1975), dove lo spazio vitale è condiviso con una bestia selvaggia. È la ricerca di questa giusta distanza, descritta nella parabola del porcospino di Arthur Schopenhauer, che affligge Ampelio Zappalorto, un artista che vive tra altri artisti in un momento di ricerca della propria affermazione identitaria, in una città straniera, privato della propria storia, della propria patria, alla ricerca di un nuovo sé cosmopolita.
Nell’opera Ti Amo (1995) Ampelio Zappalorto lascia percepire il grande cambiamento tecnologico che l’artista stava sperimentando in quegli anni. L’artista fotografa immagini di se stesso ripreso da una videocamera VHS e proiettato sulla televisione domestica: l’identità si trasmette, si eterna attraverso lo schermo. Ma questo sé alieno, che vediamo distorto attraverso il filtro dei diversi media, si contorce in espressioni di un volto che non riconosce sé stesso. È il volto digitale, nulla se non una somma di puntini luminescenti. È l’immagine delle star televisive, innalzata e celebrata nel mito del consumismo e del disimpegno edonistico degli anni ’80, espressione del pensiero postmoderno, trionfo del relativismo e della fine delle ideologie sociali. Cosa rimane di fragile e di umano in questa rappresentazione? Nella mutazione, nel portare verso il limite il proprio ritratto, Ampelio ricerca la propria parte mancante. Usando uno strumento tecnologico come la videocamera indaga la fenomenologia del proprio apparire.
Lo fa ancora in Ohne Titel (2001), questa volta sostituendo alle distorsioni digitali il camouflage: travestendosi da Adolf Hitler e Joseph Beuys. Giustapponendo il bene ed il male, comunismo e capitalismo ci ricorda quanto siamo duali nel profondo. Accoglie, con quest’opera, il pensiero di Carl Gustav Jung. Caustico ed ironico come vuole essere, trova ancora una volta nei mutevoli volti della sua personalità il proprio gioco di voler essere dittatore e profeta, sacro e profano, ma sempre e comunque profondamente libero.
Ampelio Zappalorto, “Ein-Aus” 1992
BIOGRAFIA
Ampelio Zappalorto (Vittorio Veneto, 1956) si diploma in Pittura con Carmelo Zotti all’accademia di Belle Arti di Venezia. A studi compiuti si trasferisce a Berlino sperimentando media quali: il video, il cinema, la fotografia, la performance e la danza.
Nel 1989 ha realizzato un grande dipinto astratto (200mq) sulla sala spettatori del Teatro dell’Opera di Pforzheim in Germania.
Nel 1991, ha partecipato a “Kunst, Europa” al museo di Marburg, rappresentando l’Italia nell’ambito della mostra della nuova Europa dopo la caduta del muro e nel 1992 è titolare della Borsa di Studio annuale della Kulturstiftung di Berlino.
Nel 1993 partecipa alla XLV Biennale Internazionale di Venezia. Nello stesso anno la Rivista Arte Mondadori lo cita tra i cento artisti italiani più importanti dell’anno.
Nel 1995, con alcuni ballerini dellOpera di berlino, ha fondato e diretto la compagnia di danza sperimentale “Tanzmaschine”.
Nel corso della sua carriera si annoverano più di cento esposizioni personali e collettive in gallerie private e musei nazionali ed internazionali.
Vive e lavora a Vittorio Veneto
Ampelio Zappalorto
Y, Berliner Werke – opere berlinesi
Curatela di Federico di Porcia e Brugnera
6.4.2019 – 28.4.2019
inaugurazione: sabato 6 aprile, ore 18.30
esposizione: 7.5.2019 – 28.4.2019
CreArte Studio | Palazzo Porcia | piazza Castello 1 | Oderzo [TV]
+39.333.7474335
info@crearte-studio.it
visite: da venerdì a domenica, dalle ore 16.00 alle 19.30 o su appuntamento
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