“Due padri e un figlio. Giuseppe Giusti e la nascita della poesia” – Giampiero Giampieri nel salotto di Casa Giusti
Sabato 27 maggio, nella meravigliosa cornice del salotto di Casa Giusti, si è tenuto l’ultimo degli incontri letterari, curati dall’Associazione Amici di Casa Giusti. Il prof. Giampiero Giampieri ha trattato il tema “Due padri e un figlio. Giuseppe Giusti e la nascita della poesia”. Gli abbiamo rivolto alcune domande:
-Quale emozione ha provato nel parlare di un poeta come Giuseppe Giusti nella sua casa natale?
« Ormai da diversi anni sono abituato a trovarmi in casa Giusti; quindi è difficile per me emozionarmi, cosa che invece succedeva durante le mie prime chiacchierate davanti al pubblico. Ma ancora, mentre parlo, mi capita di rivedermi bambino, quando frequentavo la scuola elementare, lì in viale Martini, e passando davanti alla casa del poeta… chissà a che cosa pensavo! Ero uno scolaro assai pauroso, insicuro… per questo, mi stupisco di essere io, ora, quello che sta lì a chiacchierare del Giusti. I primi tempi (ma son passati più di 30 anni) mi chiedevo se ero all’altezza di trovarmi in quel posto. Comunque ormai le poesie del Giusti le ho imparate a conoscere benino ».
Come è stata la partecipazione da parte del pubblico?
« L’ultima volta, presso il bar “La bottega del Caffè” (ma è così il più delle volte) il pubblico è stato affettuoso e attento. Credo che il nostro poeta, se lo conoscessimo meglio, ci riserverebbe sorprese davvero importanti e non previste. Bisognerebbe appunto che noi monsummanesi ci avvicinassimo al nostro grande poeta in modo più coraggioso e costante, perché se lo merita. Non basta mica sapere che la sua statua volta il sedere alla Chiesa perché lui ce l’aveva coi preti. Noi monsummanesi crediamo che sapere questo (che è da dimostrare se è vero o no) sia sapere tutto. Intanto anche dalle scuole lo hanno fatto sparire, come è successo a molti altri scrittori. L’impoverimento, diciamo pure la miseria di questa scelta, credo (e non sono il solo) li pagheremo cari. Stiamo rinunciando a sentir risuonare la voce dei nostri poeti per far largo a una specie di burocrazia non-umana, che ci rende sempre più vuoti e sempre meno italiani. Ora poi il Museo Nazionale di Casa Giusti (il quale, è bene sottolinearlo, è appunto un Museo Nazionale) ha una nuova direttrice, la dottoressa Sandra Tucci. Si tratta di una signora fiorentina a cui è stato conferito l’incarico di direzione, per l’appunto, del Museo di Casa Giusti nonché dei seguenti Musei pistoiesi: la Fortezza di Santa Barbara, l’Oratorio di San Desiderio e la Chiesa del Tau. La signora Tucci si è presa molto a cuore sia il Museo che il nostro Poeta. Sarebbe bello che noi di Monsummano, invece di continuare a “fare il nesci”, frequentassimo di più quell’ambiente e imparassimo a conoscere più da vicino chi si dà da fare per noi. »
-Il padre lo costrinse ad intraprendere gli studi di giurisprudenza. Può descriverci questo periodo della sua vita?
« Domenico Giusti, padre ambizioso e anche piuttosto avido e venale, mandò il figlio a studiare Diritto all’Università di Pisa. Ma il poeta non amava il Diritto e non aveva le ambizioni sociali e politiche del padre. A Pisa condusse presto una vita “bohemiènne”, da ‘scapato’ figlio di buona famiglia, frequentando bettole, biliardi, teatri, bar, casini e soprattutto il famoso caffè dell’Ussero (come lui stesso ricorda nella bella poesia “Le memorie di Pisa”».
-In quali poesie si può percepire il suo rapporto conflittuale con il padre?
« Più ancora che nelle poesie il rapporto conflittuale col padre lo si ritrova nelle famose, e belle, lettere del poeta. Qui la conflittualità del loro rapporto è affrontata abbastanza spesso, in modo esplicito e diretto. Nelle poesie invece il conflitto è alluso ricorrendo, non casualmente, alle numerose figure di uomini di potere (“Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco”; “Io liberale? Signor Presidente…”; “Altezza, il secolo /decimonono…”), nonché di giudici, sbirri, poliziotti, spie, ruffiani e poi giù giù…
Freud ha parlato spesso dell’ambivalenza del rapporto padre-figlio. Fra tutte le immagini che i bambini si creano nell’infanzia, sostiene Freud, nessuna è più importante di quella del padre. Il bambino ama il genitore e vede in lui il migliore, il più saggio degli esseri umani. Ma per il bambino che cresce -, e che crescendo viene disturbato dallo strapotere paterno – su su il padre diventa sia un modello da imitare che, allo stesso tempo, un rivale di cui prendere il posto. Quando poi il bambino, affacciandosi al mondo della realtà, si accorge che il proprio padre non è affatto il migliore degli uomini, ne fa il segreto, l’intimo rivale che da superare e sconfiggere. Tutto questo avviene in modo tortuoso e complicato (io sto solo semplificando il difficile fenomeno psichico).
Ora vi immaginate il piccolo Giuseppe Giusti che ama il bravo signor Domenico e da lui impara a conoscere (e venerare) il ‘padre’ sommo, l’insuperabile Dante? Col tempo Giuseppe scopre che quel pover’uomo di suo padre non è che un qualunque signorotto di provincia, un uomo comune che non può in nessun modo essere paragonato al sommo poeta che vive nel cuore ».
-Giuseppe Giusti, attraverso l’ironia, riuscì ad attenuare la sofferenza. Che cosa ne pensa? Ci può fare degli esempi?
« Proviamo a dirlo così, in modo fin troppo sempliciotto, approssimativo. Giuseppe Giusti, deluso dal padre, addolorato oltretutto per le ripetute angherie che Domenico faceva subire alla famiglia, quando si rese conto che sapeva scrivere così genuinamente bene, tentò di attenuare il suo tormento nevrotico con l’ironia. Il dolore nevrotico, che tocca a tutti noi di soffrire, è sempre presente anche nei poeti più grandi! Qualche nome? Leopardi, Foscolo, Manzoni, Pascoli…
Farci riconoscere e aiutarci almeno un po’a medicare questo dolore fondamentale dovrebbe esser compito della scuola! Ci farebbe meglio questo che non imparare a riconoscere le figure retoriche o arrivare a scrivere testi argomentativi. La nostra lingua, la bella lingua italiana, dovrebbe imparare a battere là dove (e i poeti lo sanno dov’è) il dente duole ».