Francesco Andreozzi – Il Melograno Art Gallery – Livorno
Francesco Andreozzi in mostra da sabato 29 aprile a Livorno
Vernissage ore 18
Il Melograno Art Gallery
Fiori Fatui
Tra i paesaggi dell’anima
Dissimili fin dal profondo per temperamento, umori e consuetudini, gli interpreti della “scuola metafisica” italiana travasavano la loro aspirazione a cogliere il weingeriano “senso profondo delle cose” in malinconia e meditazioni, o meglio, nel fantasma letterario della malinconia e della meditazione, in nostalgiche scenografie di sfuggenti spazi deserti, nel vuoto di favole e mitologie senza tempo, nell’assenza di vita e nel silenzio, nel fascino immaginato di un clima sentimentale che non ha riscontro nella realtà ma solo nella memoria. E’ quanto ci suggerisce la lezione di Giuliano Briganti, maestro di critica d’arte, accompagnandoci all’appuntamento con la pittura di Francesco Andreozzi. Il linguaggio di Andreozzi è ascrivibile alla classicità sine tempore assunta dal tratto metafisico. In questo capitolo del viaggio sono fiori, sì, ma sono fiori di un “avvenimento” metafisico, disillusi. Trasmettono la malancholia quasi gotica e l’indolenza sartreiana. Stanno in un luogo che è distante da loro; un “rumore” ovattato e di fondo, sono fiori per ventura e per incidente, potrebbero essere volti, oggetti, anche solo pensieri. Linee sfuggenti , foglie e inflorescenze che hanno abbandonato l’autoreferenzialità della bellezza, ed anche la sua “ignorante” ingenuità. La luce – come il colore – li inumidisce, dichiara la sua presenza che non è vicinanza; come fosse una figura invisibile ma presente, in una presenza materna eppure remota. Tonalità e forme si combinano in un ossimoro: la determinata vaghezza del “fatuo”. Il clima è evocativo, medianico, un transito di frammenti d’anima; di veri e propri paesaggi.
Ecco l’emergere dei “fiori fatui”, ad esprimere l’incantevole disincanto del sublime che è in noi e che fa da collante tra la vita che siamo, e la morte che ritorneremo.
Nella letteratura popolare il fuoco fatuo – sulla quale idea abbiamo calcato di titolo della mostra di Francesco Andreozzi – è un fenomeno risolto. Non già fantasmi come dettavano le credenze, ma naturali combustioni di residui organici. Spiegato e provato, il fenomeno, non per questo diserta quell’ istintuale moto di ricerca dei simboli come chiave di lettura dell’indistinguibile unione tra visibile ed invisibile. Di tante espressioni familiari, la sembianza simbolica del fuoco fatuo riesce ad unire la veridicità affascinante della realtà dimostrabile, con il desiderio – occulto – di infrangere il “vetro del reale”, ed indagare nell’ignoto che tale ci appare, e che forse tale deve rimanere.
Se i fuochi fatui sono fiammelle tra terra e cielo, più facili da rintracciare nei tardivi notturni autunnali, pronti ad alimentare l’immaginazione e la ricerca di prove tangibili sull’esistenza di ciò che siamo al di là di noi stessi, i Fiori Fatui di Andreozzi raccontano quel viaggio ininterrotto tra terra e cielo – corpo ed anima – il peregrinare diretto all’origine e il fisiologico perdersi vagando. Come se le scienze non fossero sufficienti ad illustrare il limite verso cui tendiamo in questo nostro spregiudicato illimitarci, diamo appuntamento all’anima, che continua a presentarsi come un mistero, al quale chiedere interpellanze ed udienze. Un viaggiare necessario, ubertoso, disarmante e disincantato. Ogni “fiammella” , ogni fiore, è un riflesso-specchio del nostro paesaggio interiore: vediamo ciò che noi siamo o che siamo stati, che desidereremmo essere; rintracciamo frammenti e briciole sparse; declinazioni con le quali costruire grammatiche più esaustive, quotidianamente.
I “paesaggi dell’anima” sono reali, carnali, quanto il corpo che li alberga; e allo stesso tempo si presentano sotto forma di “apparizione”, come una memoria perduta evocata all’improvviso, un segnale “alieno” – altro da noi – intercettato occasionalmente (Montale). I fiori di Andreozzi sono l’incarnazione di un’umanità distrattamente work in progress e under costrunction; che è fiorita spontanea lungo un percorso che non assicura promesse. L’esplorazione si svolge attraverso rovine invisibili – quindi brughiere e firmamenti muti – essenze, in cui i protagonisti – “fatui” – sono più attinenti al concetto di fantasmata che di fantasmi. Per Aristotele, ricordiamolo, la facoltà immaginativa è capace di generare liberamente “fantasmata”; immagini create partendo dai ricordi di ciò che si è percepito, dunque dall’esperienza di percezioni sensibili di singoli oggetti ed eventi. Così allora come non
possono esserci immagini senza percezione, non possono neanche esserci pensieri senza immagini. Sono un ponte tra percezione e pensiero – alla stessa maniera in cui i “fuochi fatui” si pongono come funi di (r)esistenza tra il regno del reale e quello dell’immaginario – ponendosi come il vero motore della conoscenza ma al tempo stesso come enti ambivalenti e sfuggenti, proprio in quanto privi di una identità ontologica precisa. Non hanno la concretezza chiara e limpida della percezione e d’altra parte non partecipano alla natura concettuale del pensiero. I “fiori fatui” di Andreozzi, in questo senso, si offrono al loro visitatore come un affresco diafano e variabile, non più solo sensibile ma non ancora compiutamente intellettuale, capace pertanto di rappresentare esemplarmente la regione del possibile e delle sue evoluzioni.
Debora Pioli
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Livorno, via Marradi 62/68
Orario: 10/13 e 16/20
Tutti i giorni, domeniche comprese
Saremo chiusi soltanto il lunedì mattina