Giancarlo Bertoncini – Ipotesi di assoluto – Studio Arte Fuori Centro – Roma
Giancarlo Bertoncini
Ipotesi di assoluto
Spazio aperto 2019
Studio Arte Fuori Centro
Roma
23 ottobre – 8 novembre 2019
inaugurazione Mercoledì 23 ottobre 2019, alle ore 18,00
Mercoledì 23 ottobre 2019, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, si inaugura la mostra di Giancarlo Bertoncini “Ipotesi di assoluto” presentazione di Maria Francesca Pepi.
L’esposizione rimarrà aperta fino all’8 novembre, secondo il seguente orario: dal martedì al venerdì dalle 17,00 alle 20,00, altri orari su appuntamento.
In questa occasione vengono presentati dipinti ispirati ad un’astrazione minimale, sia per quanto concerne l’aspetto cromatico, sia per quanto concerne l’aspetto delle forme, talora all’interno dello stesso dipinto risolte solo sulla loro proporzionale replicazione. Un ruolo notevole, per non dire fondamentale, è rappresentato dal colore bianco nella sua duplice declinazione di lucido ed opaco.
…Il tracciato del colore compone l’immagine e non restituisce alcuna figurazione. Arriva a lambire in alcuni punti il perimetro della tela, secondo un andamento che corrisponde ad una logica puramente visiva. La pittura è aniconica, priva di qualsiasi rappresentazione, di qualsiasi segno o traccia che rimandi ad un significato simbolico, fosse anche quello assolutamente asettico e inespressivo della “segnaletica stradale”. Si colloca proprio su questa stessa linea di pittura analitica, inaugurata dai “Target” di Jasper Johns ma perseguita, con sentimento decisamente meno “pop” da Kenneth Noland e da Wilfred Gaul e risalente alla ricerca di inespressività complessa di Frank Stella.
La pittura di Bertoncini affonda le sue radici in questo humus pittorico e concettuale. “Per l’arte dei primi anni sessanta – come afferma Rosalind Krauss- questa idea di disancorare il disegno (o le differenziazioni interne di una superficie pittorica) dall’espressione e quindi dall’interiorità, diventò una preoccupazione di massima importanza”.
Via Ercole Bombelli 22, 00149 Roma – 06.5578101 – 328.1353083
info@artefuoricentro.it – www.artefuoricentro.it
Giancarlo Bertoncini
Ipotesi di assoluto
di Maria Francesca Pepi
Che “l’occhio ascolti”, notava Lyotard a proposito di Claudel, presuppone una leggibilità delle cose, pur nel loro substrato, una razionalità, anche se latente e variamente perseguibile. “Di contro –aggiungeva- affermo che il dato non è un testo, anzi vi è in esso uno spessore, o meglio, una differenza costitutiva che è da vedere, non da leggere; inoltre che questa differenza, e la mobilità immobile che rivela, non finiscono mai di esaurirsi nel significare il dato.” 1
Per Bertoncini questa intellegibilità desiderabile per l’occhio e non integralmente afferrabile e trasmissibile in termini linguistici narrativi, è un’ipotesi.
Partito dall’esperienza intensa e seria di ArteRicerca (1976-81), con Bruno Sullo (Subro), Massimo Zannoni (Zama), dopo lunghi anni dedicati allo studio e all’attività didattica, Giancarlo Bertoncini affronta nuove esplorazioni cognitive attraverso la pittura, prima immergendosi nel colore e nella materia pittorica fino a saggiarne la rispondenza alle diverse istanze emotive, letterarie e simboliche raccolte lungo un tragitto compiuto come osservando, acutamente, la distesa marina dalla terraferma. Poi, la sua pittura diventa più spoglia e vibrante. Non teme di contendere al bianco la superficie della tela, impaginandovi sopra una struttura monocroma asimmetrica, dipinta con un pigmento squillante, disteso a larghe campiture.
Il tracciato del colore compone l’immagine e non restituisce alcuna figurazione. Arriva a lambire in alcuni punti il perimetro della tela, secondo un andamento che corrisponde ad una logica puramente visiva. La pittura è aniconica, priva di qualsiasi rappresentazione, di qualsiasi segno o traccia che rimandi ad un significato simbolico, fosse anche quello assolutamente asettico e inespressivo della “segnaletica stradale”. Si colloca proprio su questa stessa linea di pittura analitica, inaugurata dai “Target” di Jasper Johns ma perseguita, con sentimento decisamente meno “pop” da Kenneth Noland e da Wilfred Gaul e risalente alla ricerca di inespressività complessa di Frank Stella.
La pittura di Bertoncini affonda le sue radici in questo humus pittorico e concettuale. “Per l’arte dei primi anni sessanta – come afferma Rosalind Krauss- questa idea di disancorare il disegno (o le differenziazioni interne di una superficie pittorica) dall’espressione e quindi dall’interiorità, diventò una preoccupazione di massima importanza” 2 .
Una analoga tensione ha sostenuto la linea di ricerca analitica della cosiddetta “Nuova pittura” o “Pittura pittura”, presente in molte esposizioni d’arte negli anni Settanta e Ottanta, poi sopravanzata, in termini di mercato, dal nuovo espressionismo della Transavanguardia. 3
Bertoncini stesso, in un suo scritto 4 , ha esplicitato le affinità con questa linea protesa alla negazione, ad una disarticolazione dell’impaginato tradizionale dell’illusionismo figurativo.
L’esito del fare pittorico risulta una forma organizzata di occupazione dello spazio, senza illusioni né allusioni.
Questa pittura tuttavia costruisce.
Ed è capace di racchiudere in sé il vuoto. Non fugge di fronte all’ horror vacui , ma lo affronta; se ne fa carico. 5
Accade quanto osserva Angela Vettese per Morris Louis, che “il vuoto centrale dell’opera si rivela quasi uno spazio mistico”. 6 E’ il vuoto, ovvero l’assenza di ideologia (ma certamente non di pensiero!), a costituire il centro focale, l’ipotetico asse
prospettico di un disegno che rappresenta la radicale privazione di prospettive dell’epoca che stiamo vivendo e che l’artista sembra dipingere sulla tela.
Eppure la sua pittura tradisce fiducia nel linguaggio e nella forza creativa, logica e argomentativa di cui l’essere umano dispone; il vuoto che coglie non è assoluto, non ha, a ben vedere, il carattere mistico che Vettese intravvede nelle opere di Louis, che risentono delle riflessioni pittoriche di Barnett Newman, Mark Rothko e Ad Reinhardt. In questo, il lavoro di Bertoncini è più vicino a quello di Wilfred Gaul, che ha inserito “nelle sue immagini, per principio ancora monocrome, delle zone di altri colori come strisce, figure rotonde o motivi a bersagli rotondi, compiendo così il passaggio alla struttura composta. Non è più il processo pittorico a trovarsi in primo piano, ma la formulazione di strutture formali”. 7
L’oggetto rappresentato è insieme pittura e idea, una “cosa mentale”, che risiede in una dimensione dove il concetto attende di essere chiarificato, raggiunto, afferrato, anche se il pieno compimento di questo processo non è che un’ipotesi, cui tendere “sulla soglia”. La visione è l’azione dello sguardo e della mente che dipinge e restituisce nel suo fare l’impulso all’assoluto. Il quadro sostiene e contiene, compresenti, tutti i punti da cui possono scaturire linee di forza scaturite dal pensiero, da soppesare, sospendere nella visione e nel raggiungimento di un equilibrio.
Accoglie l’assenza che si fa immagine, un vuoto attivo, dinamico che, nella sua centralità, arriva a sospingere ai margini il disegno tracciato dal colore: l’assoluto non è solo una tensione, ma possibilità di un dissolvimento delle certezze cui ancorarsi.
1 J. F. Lyotard, Il partito preso del figurale , in I percorsi delle forme , a cura di M. Mazzocut-Mis, Milano, B. Mondadori, 1997, p.191 in Discorso, figura , cura e trad. it. di E. Franzini e F. Mariani Zini, Milano, Unicopli, 1988.
2 Conclude il ragionamento Krauss: “Ciò è vero, per esempio, per l’opera di Frank Stella, le cui idee sul modernismo si formarono a partire dall’opera di Johns”, in R. Krauss, Inventario perpetuo , Milano, Bruno Mondadori 2011, p. 223.
3 Cfr. Pittura analitica , a cura di V. W. Feierabend, M. Meneguzzo, Milano, Silvana Editoriale 2008.
4 Gruppo ArteRicerca , [Milano], Istituto editoriale universitario [1976], pp. 6-7.
5 Questa tensione alla sottrazione di immagini, messaggi e rumori derivati dall’iperproduzione postindustriale e dalla società dei consumi di massa, affonda le radici nella pittura americana del Secondo dopoguerra e, piuttosto che horror pleni, si potrebbe definire amor vacui . Cfr. G. Dorfles, Horror pleni. La (in)civiltà del rumore , Roma, Castelvecchi 2008
6 A. Vettese, Capire l’arte contemporanea. Dal 1945 ad oggi, Torino, Allemandi 1998, p.46
7 R. Lauter, Wilfred Gaul o l’inizio della Pittura Analitica. Opere degli anni 1953-1961 , in E. Crispolti, R. Lauter, R. Peccolo, “Wilfred Gaul. Due anni a Roma. Opere 1959-1962”, cat. della mostra, Roma, Galleria Anna D’Ascanio, 16 mag.-30 giu.; Livorno, Galleria Peccolo, 7 sett.-11 ott. 2013, Livorno, Edizioni Peccolo 2013, p.9