NOSTOS ED ERRANZA – l canto delle sirene – Galleria Ess&rre – Ostia

NOSTOS ED ERRANZA
Il canto delle sirene

Galleria Ess&rre

Lungomare Duca degli Abruzzi 00121 Ostia, Lazio
inaugurazione Nostos ed erranza – Il canto delle sirene 22 agosto ore 18.30
22 agosto – 4 settembre 2020
Se, per capriccio, provassimo a fare a meno del tema del viaggio e di tutto quanto ne sia scaturigine o conseguenza, ben poca cosa – verosimilmente – ci troveremmo fra le mani di quanto immaginato, ideato, intravisto, intuito, creato dall’uomo nel corso dei secoli. Tanto intride la condizione umana lo stato di nomadismo – sia fisico che intellettuale -, di costante inquietudine, di ricerca inesausta di ciò che si realizza nella ricerca stessa. Per questo il nostos non è mai soltanto un ritorno, semmai un viaggio di riandata dove anche il ricordo non può calpestare i propri passi, ma ritroverà sempre rinnovate immagini nel passato. “Come i naviganti che, persi nella vastità dell’oceano, non vedono nient’altro che cielo e mare, io vedevo solo il cielo e la mia stanza… godevo insomma di una delle vedute più belle che si possano immaginare”: così, sullo scadere del XVIII secolo, scrive Xavier de Maistre nel suo “Viaggio intorno alla mia camera”, ipotizzando di percorrere spazi e mondi potenzialmente infiniti, pure soltanto da dietro i vetri della sua finestra. Ancora di più Proust, cui basta l’accenno d’un profumo, la corolla appassita d’un fiore per viaggiare nel tempo e nello spazio in una vertiginosa discesa nell’abisso di un’identità di volta in volta riannodata, ricostruita. è qui che nostossi appoggia ad algos, il dolore, a formare una endiadi che tanta parte ha occupato nella storia delle arti dell’uomo; la nostalgia, quel soffio di dolore che accomuna l’avventuriero e l’annoiato flaneur cittadino, Odisseo come Ungaretti, il capitano Achab come Baudelai- re. La mostra tenterà dunque di praticare questa condizione di erranza, perenne sobbollire di dubbio e incertezza, di vagabondare l’errore nella simpatia per l’inciampo, per la capitolazione. Ci saranno allora i lavori di Mau- rizio Pilò, in cui l’artista pare scrivere delle autentiche storie naturali occupate in una radicalità analitica che trasfigura la memoria personale – sia intuitiva che inconscia – in una sorta di archeologia del divenire: come un fenomeno discontinuo e intermittente i movimenti del tempo operano imprevedibili resurrezioni di passato, strappi, incidenti quo- tidiani a registrare le differenze dei giorni. La pittura di Roberto Tomba si muove invece tra apocalittico e poetico, quotidiano e mitologico, all’interno di una narrazione che non rimane tuttavia fluttuante in una dimensione onirica definita: il favoleggiamento fulmineo ed improvviso parla la lingua del pensiero vivo e reale, naturale controcanto di dipinti che nella riflessione filosofica – così come nel risvolto psicologico – trovano una propria peculiare caratterizzazione. Grazia Barbieri apre il sipario di un immaginario spettacolo teatrale punteggiato da controversie equivoche, recrudescenze di storie inesauribili ed universali: le donne ritratte dall’artista possiedono una naturale ieraticità icastica in cui il carattere simbolico è referente di una malìa indicibile e feroce: si pensi alla Circe che accarezza il risultato del suo sortilegio con ancora negli occhi la grazia e l’insolente inno- cenza della seduzione. Anche Nicoleta Badalan indugia nella rappresentazione del femminile sottolineando – con uno specchiante riflesso della figura – un vagheggiare di doppiezza: la sirena non canta se non attraverso uno sguardo che si moltiplica, si rifrange addormentando il cuore di chi lo incrocia, accende roghi sull’acqua con l’adagiare l’in- canto della sua posa, interrogativa ed assertiva assieme. I lavori di Tiziana Bortolotti paiono comporsi seguendo una poetica dell’ac- cumulazione, di decostruzione e riformulazione – di storie, accadimenti o pure immagini visive -: paesaggi, spesso marini, che non descrivono ma ci introducono nella materia stessa, nell’elemento acquatico dove tutto s’inazzurra, lasciandoci a volte impigliati fra le corde e le reti, capitolando nell’errore dei passi tra fossili di conchiglia o sassi rimasti, a lasciarci una voglia d’infinito.
Ci parla forse di un vagare di cuori e di popoli Eleonora Dalmonte, dipingendo sulla ceramica un roteare di volti di bambini, vicini e diversi, semplicemente un respiro universale di occhi protetti dalla simbolica immagine di una colomba: il viaggio è un’avven- tura spinta nel profondo delle coscienze, terra e tempo che girano mutando aspetto e forma, conservando la sostanza. Le sculture e le piccole installazioni di Elena Modelli dimostra- no la loro massima consuetudine con la stravaganza e l’iperbole: coccodrilli variopinti e brillanti spalancano le loro inoffensive fauci di fronte a elefantini color turchese o ancor più bizzarramente agghindati: un vago sapo- re d’Oriente che eleva lo spirito a leggerezza, ci prende per mano e ci conduce attraverso lo specchio di Alice, di fronte all’ingannevole concretezza dell’illusorio. A completare ed impreziosire la mostra le due barche dei maestri scultori Mario Zanoni e Giovanni Scardovi: il primo presenta un Caronte che assume le sembianze medesime del suo traghetto, una sorta di sineddoche figurata in cui la prora incede con la misteriosa fissità del suo sguardo, quasi rassegnato alla ripetitività del viaggio da psicopompo. Certamente insen- sibile di fronte al disperato errare di chi non possiede l’obolo per pagarsi il passaggio del fiume. Il viaggio esoterico è natura viva, prin- cipio fondante di trasmutazione interiore. La barca di Scardovi viaggia invece attraverso flutti lividi e oscuri, parlando la lingua velata e lattiginosa dell’enigma: dal fondo (o dal profondo?) dita di uomo cercano un passaggio, ai lati un palmo aperto pare accogliere un viso di dormiente, un’altra mano si aggrappa, forse temendo l’ora della risacca. Il tutto è l’uno e l’uno è doppio, l’enigma non ha soluzioni. Nella ragione abita il torto e nel torto la ragione. Il viaggio è terminato, ma noi non siamo ancora partiti.
Alberto Gross