PAOLO NETTO e la “fabbricazione” dell’opera, di BRUNO SULLO
Paolo Netto e la “fabbricazione” dell’opera
1 Le radici lontane
La storia artistica di Paolo Netto contempla una lunga preistoria, un avvicinamento lento ma costante alle consapevoli e definitive conquiste datanti da circa metà degli anni ’90 del 1900. Queste radici sono di tipo “figurativo” e riconoscono affinità elettive con la tradizione post-macchiaioa e con la cultura verista toscana, Tuttavia le necessità espressive dell’autore non si esaurivano in un compito puramente descrittivo della realtà, ma si intrecciavano con la sua sensibilità e il suo interesse per le necessità degli uomini. Sostenuto da questa peculiarità della sua ispirazione e da un forte impulso di ricerca, Netto superava dunque questa fase nella direzione di un simbolismo capace di ritagliare il contesto reale sull’uomo visto nel complesso delle sue problematiche e dei suoi significati.
Giustamente annota Francesca Mariani che «i paesaggi diventano luoghi dove la presenza umana viene ricordata, o meglio, suggerita attraverso al citazione storica di tratti paesistici ricchi di tradizione, quali, ad esempio, le vallate di Val di Magra.» Dunque, rimanendo entro i confini dell’arte iconica, Netto opera un significativo aggiustamento di prospettiva che rende i suoi lavori meno legati ai canoni e condizionamenti, piuttosto lontani dal contesto culturale e stilistico entro cui si ponevano.
Il nuovo rapporto impostato tra l’uomo e il suo mondo, l’interesse per gli scenari ricchi di storia e di tradizione, una nuova sensibilità per la sfera della memoria intesa come valore irrinunciabile di esistenza e di continuità sono gli elementi che segnano il passaggio di Netto, avvenuto a metà degli anni ’90, a un nuovo e diverso tipo di lavoro artistico, che così appare forse meno brusco e immotivato.
2 L’opera “fabbricata”: Stele e Muri