Pierluigi Calignano – Un titolo casuale – DAFNA Gallery – Napoli
Pierluigi Calignano
Un titolo casuale
a cura di Marco Izzolino
Inaugurazione Pierluigi Calignano_Un titolo casuale 28 gennaio ore 18
Pierluigi Calignano mette in moto nelle proprie opere un processo di organizzazione delle forme, che articola fino al punto in cui esse siano in grado di stimolare la significazione. Non è tanto la creazione di nuovi segni a interessarlo quanto piuttosto la possibilità di rendere l’osservatore consapevole di possedere già un patrimonio di significati, stratificati e interconnessi, che l’organizzazione di determinati segni già dati, da parte dell’artista, è in grado di richiamare e rendere comunicativi.
P.C. è prima di tutto uno studioso della pratica “artistica” come strumento di analisi della realtà ed è per questo che nei suoi lavori si rintracciano sempre riferimenti a quegli autori, i “primitivi” (cioè quegli artisti che, secondo il modello Vasariano, precedettero la piena fioritura del Rinascimento), ai quali si deve un salto evolutivo senza precedenti nelle possibilità di visualizzazione del pensiero.
Il Calignano “studioso” è tornato all’origine del processo di visualizzazione e di elaborazione del pensiero visivo, manipolandolo al fine di trasformarlo in uno strumento in grado di raccontarsi nel proprio divenire. Le sue opere più riuscite sono quelle che riescono a manifestare contemporaneamente la provenienza, il percorso di elaborazione e le potenzialità di trasformazione dell’idea da cui sono scaturite. Sono opere che non mutano ma che mostrano su di sé ciò che sarebbero potuto essere o che potrebbero diventare; manufatti che cristallizzano il percorso del pensiero nella sua manifestazione ed elaborazione pratica.
Il punto di partenza per P.C., come per i “primitivi”, è stata l’analisi delle possibilità offerte dal quel formidabile strumento di base per la visualizzazione che fu il disegno. È manipolando il concetto stesso di disegno che l’artista ha dato vita al suo immaginario dinamico, ad un processo creativo che anziché rappresentare, in modo determinato e definitivo, qualcosa di esteriore, è in grado di raccontare il proprio svolgersi. Trovandosi di fronte al foglio di carta, invece di tracciare la prima linea, per definire il contorno di qualcosa di riconoscibile, ha cominciato a piegare quel foglio. Con l’iniziale intenzione di creare un disegno, l’artista si è ritrovato con un inizio di scultura: piuttosto che operare sulla superficie ha scelto dunque di operare nello spazio.
Operando così nello spazio P.C. ha potuto creare “macchine”. Le macchine di Calignano però, come le “macchine inutili” di Bruno Munari, non rappresentano nulla, non servono a nulla, eppure raccontano tantissimo. È una macchina inutile ad esempio la struttura dormiente (Sleeping Structure), che rivela paradossalmente il successo di un fallimento: una costruzione nata (forse) con l’obiettivo di diventare una architettura funzionale e che nel suo (inevitabile) collasso manifesta inaspettate possibilità d’essere attraversata e di porsi in relazione con lo spazio in cui è inserita.
Ciò che colpisce nelle opere di P.C. è il loro carattere di costante impermanenza, che gli conferisce una certa ironia: questa scaturisce dall’inconsapevole richiamo alla cultura nomade. I suoi grandi disegni effettivamente si possono ripiegare e riporre in una borsa, le sue tele possono riavvolgersi e srotolarsi in luoghi diversi, le sue sculture e installazioni possono essere smontate e riassemblate in modo totalmente differente a seconda dello spazio che le contiene. Tutte le opere sono pensate affinché abbiano questo carattere nomade, anche se la loro destinazione è tutt’altro che temporanea.
Il titolo della mostra intende far riferimento al carattere impermanente del reale, che non risparmia né le intuizioni né la pratica artistica. Ogni opera, così come ogni mostra, non costituisce né il punto di arrivo, né il punto di partenza di una determinata ricerca, ma una sua apparentemente casuale manifestazione momentanea. Nel flusso della trasformazione dinamica dell’idea da cui la mostra scaturisce il titolo non può essere pensato, ma solo essere sentito; coinvolgendo – in questo “sentire” – possibilmente lo spettatore.