Raoul Dal Molin Ferenzona: Enchiridion Notturno. – Pinacoteca Comunale Carlo Servolini – Collesalvetti

Raoul Dal Molin Ferenzona: Enchiridion Notturno.
Un sognatore decadente verso l’occultismo e la teosofia
promossa e organizzata dal Comune di Collesalvetti
 
ideata e curata da Emanuele Bardazzi e Francesca Cagianelli
 
con il contributo di Fondazione Livorno
 
in collaborazione con la Società Teosofica Italiana / MEDIA PARTNER
 
Pinacoteca Comunale Carlo Servolini
Villa Carmignani, via Garibaldi, 79 – Collesalvetti
14 novembre 2024 – 15 marzo 2025
 
inaugurazione: giovedì 14 novembre 2024, ore 17.00
 
INGRESSO GRATUITO: tutti i giovedì, sabato e domenica, ore 15.30-18.30; anche su prenotazione per piccoli gruppi; visite guidate gratuite su prenotazione

La mostra dal titolo Raoul Dal Molin Ferenzona: Enchiridion Notturno. Un sognatore decadente verso l’occultismo e la teosofia, promossa e organizzata dal Comune di Collesalvetti, ideata e curata da Emanuele Bardazzi e Francesca Cagianelli, con il contributo di Fondazione Livorno, in collaborazione con la Società Teosofica Italiana / MEDIA PARTNER, in programma alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini dal 14 novembre 2024 al 15 marzo 2025 (Villa Carmignani, Collesalvetti, via Garibaldi, 79 – 

INGRESSO GRATUITO: tutti i giovedì, sabato e domenica, ore 15.30-18.30; anche su prenotazione per piccoli gruppi;

visite guidate gratuite su prenotazione: info: 0586 980118-227 e 392/6025703; 

cultura@comune.collesalvetti.li.itwww.comune.collesalvetti.li.it), intende illustrare, attraverso un percorso espositivo di circa 80 opere pittoriche, grafiche e illustrative, la prestigiosa carriera di Raoul Dal Molin Ferenzona (Firenze, 24 settembre 1879 – Milano, 19 gennaio 1946), la cui estrazione fiorentina e la pluriennale militanza labronica si coniugarono con lunghe permanenze in Europa, il cui esito influì definitivamente sulla vocazione simbolista ed esoterica dell’artista.

 
Con questo nuovo magistrale percorso tra il territorio e l’Europa, l’Amministrazione Comunale di Collesalvetti offre un’opportunità letteralmente unica tanto alla comunità colligiana, quanto al grande pubblico nazionale e internazionale, di assaporare e rileggere la biografia, lo stile e la variegatissima produzione di un raffinato protagonista del ‘900 toscano quale Raoul Dal Molin Ferenzona, già indagato tra il 1978 e il 1979 in due pionieristiche iniziative espositive, rispettivamente all’Emporio Floreale di Roma e a Villa Maria di Livorno – entrambe curate da Mario Quesada con indubbio talento investigativo – e successivamente inquadrato nell’ambito di un’egregia impalcatura storiografica da Emanuele Bardazzi che nel 2002 assestava una ricognizione ragionata del percorso estetizzante e misteriosofico dell’artista, da più di vent’anni fuoriuscito dai riflettori critici.
 
Nato a Firenze il 24 settembre 1879, da “famiglia vagamente aristocratica”, il cui padre Giovanni Gino, scrittore e letterato, fu corrispondente a Livorno de “La Gazzetta d’Italia”, e, in quanto autore di due opuscoli anonimi contro Garibaldi, si guadagnò l’ostilità di garibaldini e mazziniani, fino ad  essere pugnalato a morte la sera del 19 aprile 1880, Ferenzona assumerà nella sua complessa personalità le stigmate di questo e luttuoso preambolo biografico, con ogni probabilità all’origine del legame fatale con Livorno, il cui cosmopolitico palcoscenico espositivo di “Bottega d’Arte” costituirà una tappa significativa nell’ambito della sua misteriosa e nomadica carriera.
 
In circa ottanta opere, suddivise in quattro sezioni, i curatori propongono un’immersione totalizzante ed emozionante nell’universo eclettico, tra misticismo e decadentismo, di un protagonista del Novecento toscano, contraddistinto da un inguaribile tormento spirituale, acuito dall’inquietudine di eterno déraciné votato alla vita nomade, dall’abuso di alcool e da un’instabilità nervosa capace di scatenare nella sua mente ossessioni paranoiche e voci persecutorie, e la cui tensione ascetica alla ricerca spasmodica di mete arcane e trascendentali rappresentava un autentico processo evolutivo dell’anima e di trasmutazione alchemica della coscienza, generato dal conflitto interiore tra le ragioni del Bene e del Male.
 
Approdato dopo infinite peregrinazioni internazionali, da Parigi a Vienna, da Bruges a L’Aya, dalla Moravia a Praga, in ambito livornese Ferenzona riuscì a radicarsi brillantemente nell’ambito della compagine artistica cittadina, dal Caffè Bardi al Gruppo Labronico, con una congerie di ritratti, paesaggi, capisaldi mistici, esoterici, occultistici, destinati ad esercitare sul pubblico un’attrazione fatale, fino a imporsi come artefice di una féerie teatrale, ricostruita oggi per la prima volta grazie allo straordinario materiale documentario e iconografico conservato presso l’Archivio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, (sezione Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo), così come a seguito di una puntuale schedatura del quotidiano cittadino “Il Telegrafo”, sulle pagine del quale lo stesso Ferenzona inneggiava all’inedita spettacolarizzazione del metodo pedagogico del compositore svizzero Émile Jaques-Dalcroze (Vienna, 6 luglio 1865 – Ginevra, 1 luglio 1950).
 
Ecco che uno dei capolavori editoriali di Ferenzona, vero e proprio diapason della collaborazione con i Fratelli Belforte, costituito dal magnifico volume (Misteri Rosacrociani – Opera n.° 2), AÔB (Enchiridion Notturno) – Dodici Miraggi Nomadi, Dodici Punte di Diamante originali, stampato dalle Edizioni di “Bottega d’Arte”, ribadiva nella dedica “Al mio indimenticabile, indivisibile, invisibile fratello Frederick Chopin”, certo notturnismo preraffaellita di tangenza dannunziana contiguo all’indirizzo estetico di “In Arte Libertas” e ai circuiti di “Novissima”, mentre la “rilegatura in raso e ricami” confermava quella propensione decorativa adombrata dallo stesso Ferenzona nell’evocazione dell’artista artigiano, intento a “fabbricar scatole di cartone, / O dorare piccole Veneri di gesso, / O far fiori di legno traforato!”, intonata nell’introduzione a La Ghirlanda di stelle (Roma, Tipografia Concordia 1912).
 
La prima sezione dal titolo “Raul Dal Molin Ferenzona tra l’Italia e l’Europa: il viatico eterodosso di un iniziato rosacrociano”, curata da Emanuele Bardazzi, è affidata a trentadue highlights della carriera pittorica e grafica dell’artista, particolarmente significativi di un percorso artistico iniziato all’alba del Novecento ed evolutosi fino alla morte con fedeltà e coerenza ai propri principi estetici anticonvenzionali e alle proprie simbologie anagogiche, attraverso un intreccio complesso di esperienze italiane e internazionali multiformi e costellate di innumerevoli viaggi in patria e all’estero, scanditi da letture, conferenze ed esposizioni. Si tratta di dipinti, acquarelli e incisioni dove spiccano vari inediti di straordinario fascino. 
Tra le opere legate al tema della femminilità tentatrice e funesta si segnalano alcuni capolavori mai visti, tra cui Le sorelle, raffigurante due intriganti volti di donna dalle sembianze luciferine; Maschere, divagazione fantastica animata da nudi femminili e personaggi grotteschi allusivi alle masquerades di James Ensor; e, ancora, Paesaggio con faunesse, dove due creature misteriose e ibride giacciono immerse in una natura metamorfica e selvaggia. Ad esse si contrappongono immagini idealizzate e arcane di Muse vibranti di malinconia e di simbolismo alchemico, anch’esse inedite, tra cui la misteriosa e sacerdotale Donna con falena; prescelta non a caso quale icona della mostra; una fanciulla mistica che suona l’arpa accompagnata dal motto Canto la mia canzone sull’arpa del mio stesso dolore e quindi un’incisione dominata da una figura femminile con in mano una chiave, recante in calce la citazione Il n’y a rien de plus beau qu’une clef, tant qu’on ne sait pas ce qu’elle ouvre di Maurice Maeterlinck, all’origine della predilezione costante di Ferenzona per la letteratura del Simbolismo belga e fonte di ispirazione per i poeti crepuscolari al cui cenacolo romano si unì tramite l’amicizia fraterna con Sergio Corazzini. Di estremo interesse in questa prima sezione, florilegio di registro senz’altro antologico della produzione ferenzoniana, risultano alcuni ritratti incisi di personaggi celebri come William BlakeAubrey Beardsley e Gabriele d’Annunzio, verso i quali l’artista concepiva particolari affinità elettive. Presenti inoltre dipinti iconici come Gli occhi degli angeliFulviaLa vetta e Gaspard de la nuit  ispirato quest’ultimo all’omonima raccolta di poemetti gotici in prosa di Aloysius Bertrand, molto amati da Charles Baudelaire. Suggella tale ouverture un rarissimo e inedito tabernacolo in legno dipinto, intitolato Annunciazione di Maria, già appartenuto all’artista Luca Patella.
 
La seconda sezione, dal titolo “Come croce del tuo sognonomadismi spirituali di Ferenzona dal crepuscolarismo corazziniano alla Società Teosofica di Roma”, curata da Francesca Cagianelli, intende ripercorrere tappe e relazioni inerenti i reiterati soggiorni romani dell’artista, dalla primissima congiuntura del 1904, contrassegnata dalla contiguità con i circuiti artistici e letterari del decadentismo crepuscolare, culminante con la stesura de La Ghirlanda di stelle, edita nel 1912 e dedicata ai due più intimi amici, il collega faentino Domenico Baccarini, conosciuto all’epoca della frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, e il poeta Sergio Corazzini, con cui doveva condividere la prestigiosa collaborazione alla rivista “Cronache latine”, di cui eseguì la copertina del primo fascicolo divenuto ormai di estrema rarità e oggi visibile in mostra. 

Inaugurata dal profetico e dandystico Autoritratto dell’artista (1904-1907), seguito dal magnifico inedito di Ritratto di Domenico Baccarini (1904 ca.), eseguito a pastello nel 1906 poco prima della sua morte, la sezione si snoda sull’onda della suggestione di alcuni capisaldi della produzione purista di eco preraffaellita e khnopffiano, quali The puppets, vagamente ispirata a La femme et le pantin di Félicien Rops; Gravis dum suavis, inneggiante al motto latino usato da d’Annunzio per evocare la dolcezza esangue di Ippolita Sanzio nel romanzo Il trionfo della morteLa Madonna dei Sette Dolori, e infine lo straordinario inedito L’urna d’ebano e l’anfora d’avorio (1914), tutte icone di un languido misticismo in bilico tra seduzione e ascesi, destinato a confluire in un sensualismo religioso che riecheggia la poetica dei simbolisti belgi quella corazziniana dell’Amaro calice, non senza attinenze con la Digitale purpurea di Giovanni Pascoli e con il Poema Paradisiaco di Gabriele d’Annunzio.

Snodo centrale dell’itinerario espressivo dipanato in questa seconda sezione è la puntasecca di esclusiva estrazione malefica, Le Orvietane (1909), i cui tenebrosi mantelli, allusivi al leit motiv ferenzoniano dei pipistrelli, evocano mirabilmente l’immaginario notturno tipico della stagione orvietana, quando l’artista, in stretta contiguità con Umberto Prencipe, si impegnò nel restituire atmosfere visionarie e presentimenti lugubri, debitrici alla temperie di Bruges-la-morte di Rodenbach. La conclusione ideale del percorso espositivo è affidata a due esemplari della Cartella Via Crucis (Roma, Società Editrice Universa 1919-1921), coevi a uno dei capolavori librari dell’artista, ZodiacaleOpera religiosa. Orazioni, acqueforti, aure di Raoul Dal Molin Ferenzona (Roma, Casa Editrice Ausonia, 1919), estremo approdo del ragionamento esoterico di Ferenzona, articolatosi ulteriormente nell’ambito dei circuiti artistici e culturali della Società Teosofica di Roma.

 
La terza sezione, dal titolo “La stagione livornese di Ferenzona dal Caffè Bardi a Bottega d’Arte: gocce di veleno tra revival maudit e pastiches esoterici”, curata da Francesca Cagianelli, punta a focalizzare la centralità dell’artista nell’ambito della compagine labronica primonovecentesca, inauguratasi nel 1916 con la cruciale esposizione ai Bagni Pancaldi recensita da Giuseppe Maria del Chiappa, e successivamente attestata dalla reiterata partecipazione al calendario espositivo di “Bottega d’Arte” Livorno, dapprima tra il 1922 e il 1923 e quindi nuovamente nel 1923, mentre nel 1924 figurerà alla VII Mostra del Gruppo Labronico allestita nelle sale del Regio Liceo Niccolini. Merita registrare che in occasione della personale del 1923 Maria Amadasi Rossetti enfatizzerà il fervido riscontro livornese rispetto all’eccezionalità del fenomeno ferenzoniano, confermando il gradimento crescente nei confronti di una proposta simbolista pur coltissima ed elitaria. Ponderoso in tale occasione il dispiegarsi del percorso espositivo, consistente in un centinaio di opere, tra tempere, dipinti e acquerelli, con l’aggiunta di xilografie e acqueforti, destinate a scatenare nel pubblico e tra la critica addirittura “sensazioni ultra terrene”, senza contare che la stessa Amadasi Rossetti mostrerà estrema consapevolezza di quella cultura della perversione muliebre di marca rosacrociana innervata da Ferenzona nelle sue cocottes e ‘perfide damigelle’. Divenuto in tali frangenti collaboratore autorevole e privilegiato della Casa Editrice Belforte, Ferenzona firmava nello stesso 1923 l’ennesimo capolavoro editoriale, AÔB (Enchiridion notturno), presentato nell’ambito della Mostra del libro organizzata ancora una volta nelle sale di “Bottega d’Arte” nel dicembre 1923 e curata dal simbolista belga Charles Doudelet, che con l’artista condivise una pluriennale affiliazione al circuito della Società Teosofica di Roma. 

Tra gli inediti più significativi di tale sezione, cortesemente reperiti da Emanuele Bardazzi, figurano due acqueforti presentate a “Bottega d’Arte”, ovvero Il ristorante (1910 ca.), di temperie decadente e notturna, e I ladri (1914), straordinariamente legata all’universo degli angiporti praticato all’epoca da Renato Natali e Gastone Razzaguta, di lì a poco trionfanti con soggetti analoghi all’Esposizione Pro-Soldato; e ancora I tre dei e le tre stelle (I viveurs), ascrivibile al 1920, che Ferenzona appose anche a corredo di un esemplare unico, rilegato in pergamena miniata, dell’omonimo racconto di ispirazione simbolico-astrologico, tratto da Zodiacale, ed esposto anch’esso a “Bottega d’Arte”.

 
La quarta sezione dal titolo “Visionari, mistici e demoniaci: prodromi di grafica internazionale dall’idealismo estetico di Péladan all’occultismo praghese di Sursum”, curata da Emanuele Bardazzi, offre una preziosa rappresentanza del milieu simbolista europeo tra ‘800 e ‘900, che fu fonte di ispirazione primaria per la produzione immaginifica di Ferenzona, maturata negli anni giovanili attraverso il suo peregrinare nelle diverse città straniere – da Monaco di Baviera a Bruges, da L’Aya a Berna, da Vienna a Praga – in cerca di affinità elettive e nutrimenti spirituali. Sfilano dunque opere grafiche di Félicen RopsFernand Khnopff , Marcel-Lenoir Carlos Schwabe (di cui è esposto il grande manifesto originale del primo Salon de la Rose+Croix del 1892), artisti prediletti dal capofila rosacrociano Joséphin Péladan perché in linea con il suo credo dell’arte idealista di impronta cattolico-esoterica. Presenti artisti olandesi quali Jan Toorop e Richard Nicholaüs Roland Holst, che coniugano l’influsso preraffaellita con la linea modernista della Nieuwe Kunst, e il francese di madre belga e padre olandese Georges De Feure con una suggestiva litografia notturna dalla serie Bruges mystique et sensuelle, ispirata a Georges Rodenbach. Una rara acquaforte di Joseph UhlAskese, raffigurante una monaca nuda con una croce di spine sui fianchi rimanda in modo quasi palmare a un soggetto eseguito a punta di diamante da Ferenzona per illustrare il volume Aôb, mentre Schlangenbraut (La sposa del serpente), incisa da Heinrich Vogeler, si ricollega alle incisioni a tema favolistico del nostro dedicate a principesse prigioniere di draghi spaventosi. Non mancano infine tre esponenti rappresentativi del gruppo praghese Sursum, ovvero Josef VachalFrantišek Kobliha e Jan Konůpek, che colorano la Secese  boema di sfumature occultiste in bilico tra diabolismo e ascetismo. 
 
L’ampio e documentato catalogo (SILVANA EDITORIALE), curato da Emanuele Bardazzi e Francesca Cagianelli, risulta particolarmente prezioso per la messe di materiali documentari inediti rinvenuti, ma anche per la rilettura articolata e originale della stagione europea condivisa dall’artista, così come per la ricostruzione dettagliata di alcuni importanti episodi di ambito labronico che contribuiscono a ridisegnare sul nostro territorio una temperie indiscutibilmente internazionale. 
 
Parallelamente alle quattro sezioni ordinate dai curatori, si affianca, secondo la prassi espositiva ormai pluriennale della Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, una SEZIONE BIBLIOGRAFICA E DOCUMENTARIA, che presenta in anteprima un ampio ventaglio delle imprese editoriali dell’artista, cortesemente concesse in massima parte da Emanuele Bardazzi: Fergan di Ferenzona, I tre moschettieri di legno, Firenze 1904; “Cronache Latine”, Roma 15 dicembre 1905; “Vita d’Arte”, Siena, aprile 1909; Raoul Dal Molin Ferenzona, La ghirlanda di stelle, Roma 1912; Raoul Dal Molin Ferenzona, Aquila ipse est Johannis, Firenze 1917; Raoul Dal Molin Ferenzona, Zodiacale. Opera religiosa, Roma 1919; Raoul Dal Molin Ferenzona, Vita di Maria, Roma 1921; Raoul Dal Molin Ferenzona, AÔB, Livorno 1923; “Bollettino Bottega d’Arte”, Livorno, gennaio 1923; “Gruppo Labronico. VI mostra d’arte”, Livorno, agosto-settembre 1923; “Bollettino Bottega d’Arte”, Livorno, dicembre 1923; “Bollettino Bottega d’Arte”, Livorno, giugno-luglio 1924; Raoul Dal Molin Ferenzona, Ave Maria, Firenze 1926; Paul Verlaine, L’amour et le bonheur, Milano 1940; Alessando Manzoni, Inni sacri, Firenze 1944.
 
A completamento di tale sezione spiccano due raffinatissimi manufatti di arte applicata, ideati e realizzati dall’artista, Lume da tavolo con base in legno intagliato, supporti in ferro battuto e ventola in pergamena dipinta, e Ombrello con pomello d’avorio scolpito, realizzato per Giovanna (Giannina) Guidi Gatt, figlia della cugina di Olga Borghini, madre dell’artista, testimonianze preziose di quell’impegno nell’ambito delle arti decorative apprezzato e segnalato a Livorno dall’outsider Giuseppe Maria Del Chiappa che sulle pagine del Telegrafo del 1916 proponeva non a caso il paragone con l’antico miniaturismo persiano e la moderna arte libraria tedesca: “I suoi «disegni decorativi» fabbricati per stoffe, per pannelli, ecc., si sono avvicinati per alcun tempo a stili diversi; dal russo al persiano antico, al tedesco moderno; ma sono poi usciti nella loro personalità ferenzoniana. E se oggi sono degli accenni, degli appunti, dei frammenti insomma – si augura Del Chiappa – noi dobbiamo credere che aumenteranno di mole e che godremo la realizzazione di quella gioia di colori e di forme che il decoratore nell’ansia del suo desiderio ha oggi fabbricato per la sua bellezza”.