Remo Gaibazzi – Eros Bonamini – Un dialogo sulla forma del Tempo – Associazione Remo Gaibazzi – Parma

REMO GAIBAZZI ED EROS BONAMINI

Un dialogo sulla forma del Tempo

a cura di Francesco Tedeschi

Parma – Associazione Remo Gaibazzi

dal 5 ottobre al 30 novembre 2024

inaugurazione sabato 5 ottobre ore 18.00

Sabato 5 ottobre alle ore 18.00 si inaugura la mostra REMO GAIBAZZI ED EROS BONAMINI – Un dialogo sulla forma del Tempo presso la sede dell’Associazione Remo Gaibazzi (Borgo Scacchini 3/A – Parma).

A cura di Francesco Tedeschi e organizzata dall’Associazione Remo Gaibazzi in collaborazione con l’Archivio Eros Bonamini, la mostra riprende la sezione dell’esposizione dedicata a Gaibazzi nel 2022 presso Palazzo del Governatore a Parma, dove furono presentate opere di artisti di fama internazionale a comporre un dialogo, affrontato per temi, con le opere di Gaibazzi per trovare una sua collocazione più adeguata nel panorama della pittura italiana del dopoguerra.

In questa, che vuole essere la prima di una serie di esposizioni “dialogiche” tra Gaibazzi e altri artisti, si è scelto di far parlare le opere del nostro con quelle di Eros Bonamini, dimostrando come i due autori, pur non conoscendosi, abbiano affrontato lo stesso tipo di ricerca, la misurazione del Tempo, ma declinandola diversamente. Sono dunque diverse le suggestioni che lo spettatore potrà osservare e saranno divise in temi quali: scrittura, permanenza ed evanescenza; il gesto e l’istante: il tempo nel suo sviluppo; la circolarità come indice del continuo ritorno; definizione della categoria temporale come fattore costitutivo dell’opera; il segno continuo, misura del Tempo.

Quindi due artisti con attitudini simili nel fare della loro attività individuale il metro di elaborazione di una operatività fondata sul rapporto con il tempo. Tempo che assume il carattere di una entità fortemente oggettiva, costituita da misurazioni, iterazioni, atti in cui la dimensione personale e soggettiva trova una configurazione estetica, visiva e quindi formale.

L’uno, Gaibazzi, attraverso la riduzione dell’elemento operativo a una forma di scrittura, con la scelta di limitarsi al valore semantico della parola “lavoro”, nella quale si identifica l’atto del fare e la sua elaborazione visiva, nelle diverse soluzioni proposte dai suoi lavori tra la fine degli anni Settanta e il 1994.

L’altro, Bonamini, insistendo a esercitare su superfici e materiali diversi, in molteplici modalità nel corso del tempo, una tripartizione di gesti e segni fondati su misure temporali diverse e correlate, per ottenere dei risultati che spaziano da connotazioni verbali trasformate in segni visivi, a motivi pittorici e plastici autonomi, in cui lo strumento temporale viene decodificato.

Gaibazzi e Bonamini non hanno partecipato a situazioni comuni e non risulta che si siano conosciuti o incontrati, ma evidenti sono le corrispondenze, non solo di natura visiva, fra alcuni loro reciproci lavori. Affinità che permettono di instaurare un possibile dialogo fra autori che analogamente si sono sottratti alle facili prospettive estetiche di immediato successo, per far predominare il rapporto tra la mente e la mano, il pensiero e la sua traduzione in materia visiva.

Grazie al patrocinio dell’Università di Parma, il tema della “forma del Tempo” sarà sviluppato in quattro seminari a cura di docenti dei dipartimenti di Scienze della Terra, Fisica e Cinema, che lo affronteranno nell’ambito delle proprie discipline, in dialogo con la poetica dei due artisti. Gli incontri si svolgeranno presso l’Associazione nelle giornate del 18 ottobre e dell’8, 15 e 29 novembre alle ore 18,00.

La mostra si inserisce nelle attività della Associazione Remo Gaibazzi e dell’Archivio Eros Bonamini. La curatela della mostra e del catalogo che la accompagna è affidata a Francesco Tedeschi, già co-curatore della mostra Remo Gaibazzi e la scrittura nelle arti visive (Palazzo del Governatore, Parma, 2022) e della monografia dedicata a Eros Bonamini (VAF / Skira, 2018).

La mostra, ad ingresso libero, proseguirà fino al 30 novembre 2024 con i seguenti orari: dal martedì alla domenica dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 18.30. Chiuso lunedì.

Associazione Remo Gaibazzi APS (https://www.remogaibazzi.net/)

Allegati:

Biografia Remo Gaibazzi

Biografia Eros Bonamini

Locandina inaugurazione

Remo Gaibazzi – Biografia

Remo Gaibazzi nasce il 29 dicembre 1915 a Stagno di Roccabianca (Parma), dove trascorre l’infanzia, prima di trasferirsi con la famiglia – famiglia di contadini – nel 1923 a Collecchio e, più tardi, a Eia di S. Pancrazio, alle porte della città; la famiglia Gaibazzi emigra poi definitivamente a Parma nel 1937. A quella data, il futuro pittore, che ha abbandonato gli studi nel 1935 dopo aver frequentato l’Istituto Magistrale senza conseguire il diploma, ha già cominciato la carriera di caricaturista: risalgono al 1935, infatti, i primi numeri unici in cui compaiono suoi disegni.

Continuerà in quest’attività, collaborando, oltre che a una trentina di giornali umoristici locali (alcuni dei quali diretti da un giovanotto anch’egli nativo di Roccabianca e che, allora, si firmava «Nino Guareschi»), anche alla Gazzetta di Parma, per circa venti anni, periodo durante il quale effettua una prima volta il servizio militare nel 1937-38, per essere poi richiamato nel 1941 ed inviato in Albania ed in Grecia, di dove è deportato in Germania.

Nel dopoguerra Gaibazzi affianca alle caricature di personaggi locali o internazionali la produzione di acri vignette vagamente surreali, ma verso la metà degli anni ’50 cambia decisamente rotta.

Con la prima personale, che ha luogo nel 1955, ha inizio la sua carriera di pittore: le opere esposte – disegni a china, in bianco e nero – non hanno più nulla di satirico o di umoristico; sotto l’effetto decisivo esercitato soprattutto da Ben Shahn, sono diventate amare immagini di un’umanità miserabile e dolente. Si tratta di una produzione che coglie subito significativi riconoscimenti, perché, pur collocandosi nel clima del neorealismo per i temi affrontati, dimostra una propria originalità non facilmente assimilabile ai modi e agli schieramenti allora in campo.

Nei primi anni ’60, abbandonati i temi di denuncia sociale, la ricerca di Gaibazzi appare sdoppiata: da una parte una serie di disegni ispirati a Bacon e dedicati alla figura umana, dall’altra la produzione di ossessivi paesaggi urbani, incentrati sull’immagine di grandi edifici storici, i cui volumi appaiono come mutilati dal taglio dell’inquadratura e immersi in un buio dilagante attraversato da rade lame di luce. Ma la svolta che segna la definitiva rottura con le tendenze neorealiste si registra con la personale del 1966: Gaibazzi, che si è avvicinato alla neoavanguardia (la mostra è presentata da Adriano Spatola e da Corrado Costa), s’ispira al Benjamin della Riproducibilità dell’opera d’arte per proporre non degli originali, ma riproduzioni su tela emulsionata, in quattro formati diversi delle stesse immagini. I lavori, sempre più scuri (anzi compiutamente e compattamente neri grazie alla riproduzione fotografica), cominciano ad essere influenzati, oltre che dall’espressionismo baconiano, dai modi della pop art.

Alla fine del 1967 Gaibazzi riprende le immagini di monumenti storici soprattutto di Parma, ma questa volta in una personalissima versione della pop, che si rifà, invece che agli oggetti della civiltà dei consumi, alle icone che popolano l’immaginario collettivo in un paese come l’Italia. È la prima volta che si misura con il colore (precedentemente usato molto raramente, per lo più in caricature acquarellate o colorate a pastello) e con quadri di grandi dimensioni: i volumi architettonici, ridotti alle loro strutture essenziali, grazie alle vivacissime campiture piatte degli acrilici, acquistano l’impatto di simboli e segnali capaci paradossalmente di far rivivere la tradizione.

Nel 1970 l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Parma, diretto da A. C. Quintavalle, ospita una sua grande mostra al Salone dei Contrafforti in Pilotta. La tendenza a ridurre l’immagine del monumento a una sigla, il cui contenuto rappresentativo è sempre meno rilevante, si attesta negli anni successivi: nella mostra del 1974 c’è una sola immagine (una torre) che viene ripetuta all’interno dello stesso quadro e in una serie di quadri, in un sondaggio sistematico delle possibilità combinatorie offerte da varianti cromatiche e compositive.

Su questa strada Gaibazzi finisce per abbandonare definitivamente la rappresentazione, dedicandosi inizialmente, per breve tempo, a ricerche su strutture geometriche ispirate dalla lezione di Albers. Poi, in un’originale rielaborazione delle teorizzazioni del gruppo di Tel quel (Barthes, Derrida, Goux) e della sua espressione più propriamente artistica, vale a dire il movimento Supports/Surfaces, inaugura l’ultimo e più radicale periodo della sua ricerca, esponendo, nel 1976, opere costituite da fogli di carta trattati con grafite o incisi con la punta del compasso per mettere in evidenza la costituzione dei materiali e, appunto, la relazione supporto/superficie. Seguono indagini su materiali e tecniche diverse (kleenex, carte adesive, fili di cotone, carte veline) che però non lo soddisfano (e che infatti non sono esposte in alcuna mostra).

Finalmente, nel 1979, approda ad una nuova, straordinaria fase produttiva, dedicata alla scrittura e che ha sollecitato l’interesse (oltre che degli amici di sempre come Quintavalle e Calzolari) anche di giovani studiosi come M. Corgnati, M. Bertone e D. Trento: Gaibazzi scrive la stessa parola («lavoro») su supporti diversi (stoffe, carte, perspex, acetati) e con tecniche diverse (scrive con la destra e con la sinistra, con pennarelli colorati o grigi o bianchi o dorati). Questa stagione creativa culmina con le mostre del 1990 e del 1993 alla Galleria Mazzocchi: le scritte, che prima dilagavano sul supporto in diverse direzioni e in colori variegati, tendono ad assumere una forma costante, la spirale, e colori smorzati (grigi o neri). L’ultima esposizione è fatta da una serie di ascetici fogli di carta su cui la scrittura traccia la stessa spirale, sempre uguale, ma sempre diversa.

Remo Gaibazzi è morto a Parma il 25 luglio 1994. Nel 1996 la grande mostra postuma organizzata dal CSAC dell’Università di Parma ha cominciato a far conoscere anche fuori Parma il nome di questo grande artista, che ha scelto di lavorare in una piccola città di provincia, ma che ha saputo captare e rielaborare in maniera originale le più significative tensioni della pittura contemporanea.

Proseguendo in tale direzione, nel 2002, l’Associazione Remo Gaibazzi, grazie al sostegno del Comune di Parma, ha organizzato La città di Gaibazzi 1935-1974, una mostra che abbraccia i primi quarant’anni di lavoro del pittore: essa costituisce il primo capitolo di una ricognizione complessiva che continua con l’esposizione presente.

Eros Bonamini – Biografia

Eros Bonamini nasce a Verona nel 1942. Dopo studi tecnici, la sua formazione artistica avviene tra gli anni Sessanta e Settanta, portandolo presto a confrontarsi con la stagione della riflessione sulla pittura e sul fare artistico, nei dipinti quasi monocromatici, di natura geometrico-strutturale.

Tra le prime mostre, effettua due personali nel 1975 a Verona, presso la Galleria dello Scudo e la Galleria Ferrari. I primi critici a misurarsi con la sua opera sono Giorgio Cortenova e Licisco Magagnato, che ne riconoscono la personalità in un momento di attenta analisi dei processi artistici.

A partire dal 1975 Bonamini abbandona le forme tradizionali della pittura, privilegiando altri materiali, come il cemento e il collante, realizzando superfici scabre ed essenziali, e intitolando le sue opere da quel momento in poi Cronotopografie, per indicare come al centro del suo interesse si ponga il mutamento del segno attraverso il passaggio del tempo.

Nel 1976 l’artista partecipa alla mostra introdotta da Umbro Apollonio L’esplorazione percettiva in Palazzo della Ragione a Bergamo.

Nel 1977 tiene un’altra mostra personale nella Galleria Ferrari.

Nascono altre forme di Cronotopografie, composte da strisce di stoffa imbevute d’acqua ossigenata, dal potere decolorante, immerse a intervalli di tempo successivi in un bagno d’inchiostro e poi esposte a delineare una mappa del processo creativo, secondo una accezione teorico-pratica che si inserisce nelle elaborazioni linguistiche dell’arte di fine decennio, come si coglie nella mostra Una definizione di segno (a cura di Alberto Veca; Galleria Ferrari, Verona, 1978) e quindi nella personale tenutasi nel 1979 al Centro Culturale Serre Ratti di Como, a cura di Luciano Caramel, altra voce critica che lo seguirà negli anni.

La sua attività, sempre orientata a esaminare il rapporto tra azione e temporalità, nel creare lavori in cui la scrittura diventa misurazione del tempo stesso di esecuzione del segno, si confronta con quella di autori che spaziano dalle forme verbovisuali dell’arte concettuale e della poesia visiva a quella di artisti operanti sul rapporto tra forma e gesto. Stringe amicizia con alcuni autori in questo contesto, come Eugenio Miccini, con il quale condividerà alcuni progetti.

Prende parte a mostre come Il materiale delle arti. “Processi tecnici e formativi dell’immagine”, ordinata da Licisco Magagnato, Pier Carlo Santini e Alberto Veca presso il Castello Sforzesco di Milano (dicembre 1980 – gennaio 1981), Una pittura inquietante al Museum-Pavillon di Salisburgo dal 22 aprile al 23 maggio 1983, manifestazioni nazionali e internazionali sul libro d’artista, oltre a rassegne sull’arte tra gli anni Sessanta e Ottanta.

Le sue “cronotopografie”, che fanno leva da una parte sulla parola e dall’altra sulla estenuazione del gesto, trovano progressivamente nuove forme di rappresentazione nelle modalità del colore, della pittura e delle tipologie di segni – la linea, la geometria, il labirinto – creando delle tripartizioni di articolata soluzione.

Nei primi anni Novanta, dopo avere avviato una sperimentazione su materiali plastici che lo conduce a cercare di fondere materie cromatiche, luce e segno, giungerà a cogliere il valore metaforico della bruciatura, che valorizza il concetto di “Vanitas”, termine che aggiunge a quello di “cronotopografia” per specificare il valore e il significato dei segni che compaiono da quel momento in poi nelle sue opere. La parte predominante di queste, nella fase avanzata del suo lavoro, sarà costituita da interventi su lastre d’acciaio specchianti, deformate dall’azione della fiamma ossidrica, che traccia e consuma contemporaneamente.

La parabola della sua opera viene ripresa nella monografia pubblicata nel 1993, a partire dai contenuti di una tavola rotonda presieduta da Giorgio Cortenova, con interventi di Luciano Caramel, Eugenio Miccini e Alberto Veca, specificamente dedicata al suo lavoro, tenuta nella Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Achille Forti di Verona.

In seguito, oltre a prendere parte a numerose collettive, ha una personale nel 2009 all’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo, a cura di Ilaria Bignotti e Marco Meneguzzo, intitolata Panta rei.

Tra gli anni Novanta e il 2012 Bonamini allestisce, sul colle prospiciente Verona, dove abita, un “parco per l’arte”, che completa il suo atelier, con opere sue e di altri artisti, come Arman, Mondino, Spoerri, Miccini.

Per tutta la sua vita, insieme alla moglie Giusi, con la quale condivide ogni vicenda artistica e umana, compie viaggi in tutte le parti del mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, alla Cina, dal Sud Africa al Perù fino all’Australia, affrontando con entusiasmo e spirito d’avventura le difficoltà comportategli da un incidente avuto in gioventù.

Dopo la scomparsa dell’artista, nel 2012, a partire dall’impulso dato da Giusi, il suo archivio diventa il fulcro della tutela del suo lavoro artistico.

Alla fine del 2013 gli viene dedicata una mostra personale da Valmore Studio d’Arte di Vicenza, introdotta da Marco Meneguzzo; segue la personale dell’autunno 2015 nella Galleria Rossovermiglio di Padova, intitolata Il tempo e l’agire, introdotta da un testo di Vittoria Coen e da una riflessione di Giancarlo Zilio.

Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 ha luogo una mostra antologica dell’opera di Eros Bonamini, che fa tappa dapprima alla Rocca Roveresca di Senigallia con il titolo Spazio-tempo, a cura di Simona Zava, per proseguire, ampliata, nell’allestimento alla Casa del Mantegna di Mantova, a cura di Claudio Cerritelli, con il titolo Eros Bonamini. Scrittura gesto tempo.

Nella nuova sede della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Achille Forti” di Verona, Patrizia Nuzzo propone nel marzo 2018 opere di Bonamini per la proposta “Prima parete”.

Partendo dall’interessamento della Fondazione VAF, nel 2018 viene realizzata la monografia, curata da Francesco Tedeschi, edita da Skira, che costituisce la più completa testimonianza dell’insieme del lavoro dell’artista, presentata presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e la sede di Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo di Milano, Piazza Scala, musei nelle cui collezioni figurano sue opere.

Altre mostre personali vengono allestite in seguito nella galleria Nuova Morone (Milano, 2019), Valmore Studio d’Arte (Vicenza, novembre 2023-febbraio 2024) e nella Villa Pisani Bonetti (Bagnolo di Lonigo, 2024).