SANDRO BOTTARI, TESTO DI BRUNO SULLO
Bruno Sullo: Percorsi Fuoristrada, orientamenti e indicazioni della ricerca artistica contemporanea a Livorno
Nel suo interesse per la pittura-pittura Sandro Bottari si pone in una non agevole prospettiva “classica” che molti dei suoi coetanei hanno frettolosamente liquidato come fenomeno esecrabilmente “estetico”; peraltro, il suo modo di far pittura, di gestire il colore, di effettuare scelte decise in favore del segno calligrafico, non ammicca certamente ai valori della tradizione e dell’accademia.
Eppure, proprio in questa commistione tra classico e moderno è l’originalità e il fascino del lavoro di Bottari: essa gli permette di possedere tutta l’espressività della pittura e di condurre su essa una serie di operazioni, verifiche ed esperimenti che ne modificano lo statuto ed operano una sorta di fedele tradimento di esso.
Dunque, colore e segno, beninteso non ciascuno per proprio conto bensì in intima comunione tra di loro, sono gli elementi portanti dell’esperienza artistica di Bottari. Il colore è inteso in senso “attivo” poiché è proprio questo strumento così tradizionale e statutario della pittura a produrre il primo impatto e a provocare la sensibilità dell’osservatore.
Si tratta per lo più di colori primari (il rosso, il giallo, il blu, oltre che il nero ed il bianco), dotati di grande forza visiva e capaci di colpire più che accarezzare, lampeggiare più che diffondere luce: infatti il colore non è, per Sandro Bottari, un aggettivo qualificativo, una connotazione delle cose, è esso stesso la “cosa”. I suoi lavori, dunque, non sono soltanto composizioni colorate, ma colore in senso proprio e diretto.
Per questo non meraviglia che le proposte visive di Bottari siano articolate in larghe plaghe cromatiche, stesure uniformi e vivaci dai forti contrasti timbrici; sono esse, nella loro suggestività visiva e nei loro effetti psicologici a svolgere egregiamente il compito, loro affidato, di caratterizzare ed interpretare ciascun lavoro, e determinarlo come problema visivo. Al colore così disposto è anche affidato il compito di costituire la struttura del quadro, la sua organizzazione spaziale, il ritmo costruttivo da cui trae stabilità ed equilibrio: da ciò l’attento studio dei rapporti cromatici e della disposizione sulla superficie non applicando schemi a posteriori, bensì individuandoli nel momento della loro applicazione, come estraendoli dal limbo della propria sensibilità dove erano vivi e presenti ma in una condizione di pura potenzialità. Il trattamento del tableau è dunque la base del lavoro di Bottari, o almeno uno degli interlocutori privilegiati del suo linguaggio; l’altro interlocutore è il segno.
All’inizio del suo percorso, il segno era alquanto confuso ed impacciato, perché costretto a svolgere innaturali funzioni descrittive, o a produrre effetti plastici e delimitare figure vagamente umanoidi. Velocemente questo segno si è liberato di qualunque preoccupazione denotativa, e si è proposto come un tramite diretto tra il dentro ed il fuori, il mondo dell’ego e la sua estrinsecazione visiva (cioè la sua rappresentazione). Si tratta di un segno sinuoso, anzi contorto, anzi reticolare, sottile, dotato di infinita pazienza, che si espande fatalmente sulla tela, copre la superficie, incontra i colori sottostanti modificandoli e risultandone modificato, questo segno occupa spesso tutto il tableau, o larghe sezioni di esso, e si dispone in una rete fittissima eppure impalpabile che lascia spazi liberi in forma di figure umanoidi, sorta di piccoli manichini inquietanti che tentano un’analisi (ma non sistematica, anzi, direi schematica, quasi simbolica) della condizione dell’uomo. Sono forme che finiscono per introdurre nell’opera una specie di significato, volutamente (e opportunamente) impreciso, un’intuizione più che un concetto, e che d’altra parte tradiscono (sia detto in senso positivo) la vera natura del segno, non gesto tachistico* ma equilibrato ed oculato mezzo espressivo. La sua ulteriore ricerca non fa che accentuare questi caratteri. Il segno si trasforma, inventa nuove possibilità, e finisce per trovare un’impensata identificazione nelle lettere e nei numeri, esponenti riconosciuti di ben noti sistemi comunicativi, dotati di una forma visiva modificabile ma non stravolgibile (pena la perdita di identificabilità, e dunque l’anonimato). Ed inoltre depositari di un’eredità che procede dalle ricerche recenti, ma storicizzate, di Poesia visiva e Poesia concreta.
*Nell’ambito della pittura informale, il termine Tachisme (dal francese tache, macchia) indica una pittura gestuale in cui l’improvvisazione psichica e il rifiuto del controllo della ragione sono il filo conduttore.
Bottari entra in questo non agevole campo di lavoro con tutta la sua giovanile animosità, ma anche con l’esperienza maturata: le lettere e i numeri non sono analizzati nei loro significati né nei loro dettagli visivi, sono usati, si affollano e si moltiplicano addossandosi fittamente a coprire lo spazio, a costituire una trama. Un reticolo che rimanda alle sue precedenti esperienze e si inserisce in una linea di continuità e di coerenza che lo rende autonomo e del tutto indisponibile a una collocazione nell’ambito storico della Poesia concreta. In simile direzione spinge un’altra caratteristica importante degli ultimi lavori di Sandro Bottari: la struttura, così sostanziosa nelle prove precedenti, e adesso ancora più evidente nella netta separazione dei campi visivi (alcuni dedicati ai segni, altri al colore), nella loro disposizione spaziale (spesso il campo-colore è centrale).
Nella loro frequente ricerca di complementarità (i campi-segni sono spesso divisi a metà e disposti agli estremi del quadro a suggerire un loro completamento al di fuori di esso); tutti elementi che presuppongono un intervento forte dell’autore, fin dalla fase progettuale dell’opera. Con questi strumenti Bottari esegue opere di grande impatto visivo, vitalissime, in continuo divenire, non asservite alla descrizione di alcunché ma non indifferenti alla forma, evocative di emozioni non legate alla banalità della denotazione.
Può la pittura raggiunger i livelli sublimi dell’astrazione, continuando ad utilizzare mezzi “storici” ed elementi visivi riconoscibili? Si.
BRUNO SULLO