Silvia Berton – D’AMORE DIMORE – NOTO
D’AMORE DIMORE
personale di pittura e arte performativa
di Silvia Berton
dal 03 al 30 settembre 2021
NOTO
Bassi Palazzo Ducezio
via Silvio Spaventa
Inaugurazione e performance
Venerdì 03 settembre ore 18.00
alla presenza delle Autorità
ingresso libero
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Effetto Noto 2021
Il lucido sguardo dell’eversione
di Fabrizio Catalano
Les aveugles di Maurice Maeterlinck non è soltanto uno dei più angoscianti capolavori del teatro simbolista ma, nella sua dimensione allegorica, una irrefutabile, impietosa, tragica rappresentazione della nostra attualità. Sul palco, nel folto di un’antichissima foresta settentrionale, dodici ciechi, sei donne e sei uomini, al calar della sera aspettano il ritorno del prete che, durante il giorno, li ha guidati attraverso gli alberi. Ma il prete è morto, e il suo cadavere svetta al centro della scena: i suoi occhi fissi e muti non guardano più dal lato visibile dell’eternità e sembrano insanguinati sotto una gran numero di dolori immemoriali e lacrime. Ignari dell’accaduto, i sopravvissuti, nel corso dello spettacolo, sentono insinuarsi il terrore nel vento e nei loro pensieri, sentono serpeggiare fra di loro la morte, s’esaltano e si spengono in un continuo alternarsi di segnali e premonizioni.
Un altro artista belga, Jean Delville, in una meravigliosa litografia dominata dai toni della fuliggine, dell’ansia e della claustrofobia, ha raffigurato la scena straordinariamente descritta nel paragrafo iniziale della pièce di Maeterlinck. Allora – nell’epoca trascendente dell’invenzione poetica – come oggi – in una società consumata dalle metastasi di un razionalismo convertitosi in magia nera – l’inconsapevolezza scatena il terrore.
Istintivamente, come per un’evocazione al contempo letteraria ed esoterica, come per un’alchemica associazione per contrasto, rapito dalle opere esposte in questa nuova mostra di Silvia Berton, D’amore dimore, la mia mente è tornata a quelle cupe atmosfere germinate dallo studio dei mistici fiamminghi. Ciò che lì era tenebra, ciò che in una stagione pervasa dall’entusiasmo era esercizio d’angustia e richiamo alla caducità delle cose, qui, nel 2021, sull’orlo del baratro, mentre davvero la diffidenza e l’orrore s’impadroniscono delle esistenze dei vecchi abitanti del continente decaduto, diventa esplosione di luce, sintesi di sentimenti, vitalità e complicità. Si celebra, irridendo le repressioni sempre più à la mode, la purezza e l’attrazione del fisico. Si rimemora il contatto. Si prega per la promiscuità. Si riconduce l’umano alla sua essenza. In contesti senza tempo né misura, donne e uomini, nella loro naturale nudità, s’incontrano e ristabiliscono insepolte, eversive connessioni.
Da una parte, giovani incorrotti, appena oltre la barriera della pubertà, contemplano, sopra di loro, un cielo che noi possiamo modellare a nostra guisa, dall’altra pleiadi dalle forme femminili volteggiano in una gioia indefinita; da un lato corpi di donne s’accalcano nella sintonia di ancestrali ed affiatati scherzi, dall’altro la simbiosi giunge all’estrinsecazione di un doppio dalla fulva capigliatura. Dita accarezzano visi, nascondono labbra nella moltitudine irresoluta; sguardi senza requie ci interrogano; spoglie svigorite nell’imbrunire s’accalcano; bocche infantili elevano forse inni all’affrancamento dalle costrizioni; misteriose vene di sangue e lava legano volti e s’arrendono a un bacio languidamente dischiuso; il sonno infine coglie una ragazza sotto coperte che paiono inghiottirla. Ma non è ancora il momento di riposare: benedizioni si posano sulla fronte, malizia e smarrimento interpellano l’osservatore; e, soprattutto, nel dipinto forse più appassionato e convulso di questa esposizione, il sonno e la lotta inestricabilmente e mirabilmente si mischiano: occhi chiusi e mani che ghermiscono seni, auscultano ventri, si serrano in pugni, di dolore o di rabbia poco importa…
El sueño de la razón produce monstruos aveva sentenziato Francisco Goya; ed ecco che, circa duecento anni dopo, immateriali, acclamati dalla tracotanza del potere e dal fanatismo della folla, i mostri sono fra noi. Silvia ci invita a resistere al sonno ipnotico di una civiltà in agonia. A strappare passaporti d’ogni tipo, a disfarci degli orpelli, a sfidare sfrontatamente il pregiudizio, l’inquietudine, la vigliaccheria e tutti gli stortignaccoli, ridicoli eppure pericolosissimi figli dell’omologazione.
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La mostra sarà visitabile tutti i giorni della settimana dalle ore 17:00 alle ore 23.00.
Possibilità di apertura mattutina. Per informazioni o appuntamenti 347 6390763 – prenota la tua performance
Evento realizzato nell’ambito della Rassegna “Percorsi di NOTOrietà“
curata da Vincenzo Medica per Studio Barnum contemporary e Patrocinata dall’Assessorato al Turismo e alla Cultura del Comune di Noto.
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